“Una vicenda che ha segnato la crisi profonda della seconda Repubblica. È certo che siamo in presenza di illecito organizzato, pianificato e durato nel tempo”. La Procura di Roma ha chiesto una condanna a 7 anni e mezzo di reclusione per l’ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi, accusato di essersi impossessato di oltre 25 milioni dei fondi destinati al partito. Per l’accusa il politico ha drenato tutto quel denaro dalle casse del fu partito guidato da Francesco Rutelli. L’ex senatore Pd è accusato anche di calunnia proprio nei confronti dell’ex sindaco di Roma.
Il pm Stefano Pesci ha chiesto anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Secondo l’accusa l’ex senatore aveva “una sorta di signoria totale rispetto alla gestione delle spese della Margherita. Solo lui era a conoscenza delle singole operazioni, solo lui aveva il potere di firma, oltre a Rutelli che non se ne è mai servito”. Secondo il pm nella gestione operativa e finanziaria del partito, i politici erano praticamente assenti così come superficiali e all’acqua di rose erano degli altri organi di controllo, a cominciare dai revisori dei conti”.
Lusi, in libertà dal maggio del 2013 dopo essere stato in carcere poi ai domiciliari in un convento in Abruzzo, era stato rinviato a giudizio il 17 dicembre del 2012. In quell’occasione il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Roma, Maria Bonaventura, aveva anche condannato la moglie, Giovanna Petricone, a un anno di reclusione dopo la richiesta di patteggiamento.
Il pm Stefano Pesci ha invocato una condanna a tre anni per il commercialista Mario Montecchia e a due anni e due mesi per il collega Giovanni Sebastio. L’accusa ha chiesto anche la confisca dei beni sottoposti a sequestro “sino alla concorrenza di 25.479.200 euro” cioè quanto sarebbe stato sottratto nel corso della sua attività di tesoriere dalle casse della Margherita: “E c’è traccia sicura di questo” ha detto il pubblico ministero. Per la loro ex collega Diana Ferri il magistrato ha chiesto l’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. “Non è stata raggiunta prova del dolo” secondo la Procura.
Il 20 giugno 2012 il Senato aveva votato il sì all’arresto, a poco più di un mese di distanza dalla notifica dell’ordinanza di custodia cautelare firmata da giudice per le indagini preliminari di Roma. Nell’ordine di cattura il giudice Simonetta d’Alessandro aveva definito Lusi come il “capo di un clan” e andava arrestato non solo perché aveva rubato, mentito, ma anche perché aveva prodotto un effetto “devastante” sulla democrazia con il suo comportamento, avvantaggiato dalla moglie, dai collaboratori, dai commercialisti. “Lo spoglio è stato operato dal Lusi in un quadro associativo, e – argomentava il giudice nell’ordine di cattura – non poteva essere diversamente, attesa l’entità delle somme e l’intuibile necessarietà di complicità interne, anche tecniche. Quadro associativo che non si identifica nel partito, ma che ha operato in danno del partito”. Per il magistrato: “La manomissione del pluralismo dei partiti è, sul piano ontologico, l’anticamera della svolta totalitaria”.