L’approvazione del decreto legge chiamato Imu-Bankitalia, tra le molte polemiche ha avuto almeno un merito: sollevare la questione sull’utilizzo delle riserve patrimoniali della Banca d’Italia (BdI).
Esse ammontano a più di 120 miliardi: 100 miliardi di riserve auree, 15 miliardi di riserve ordinarie e straordinarie che derivano dai diritti di signoraggio e dai guadagni derivanti dal circolante che la Bce mette a disposizione dei singoli stati membri dell’Eurozona, oltre ai dividendi che ne conseguono e che vanno ad alimentare lo stesso capitale sociale.
Fintanto che le banche azioniste erano, seppur Spa, “banche pubbliche”, un possibile conflitto d’interesse tra proprietà della BdI e sua funzione di Ente di diritto pubblico era tutto sommato controllabile (anche se non eliminabile). Con la privatizzazione del sistema creditizio italiano e la sua concentrazione a partire dagli anni ’80, tale anomalia diventa sempre più grave. Due banche private (Banca Intesa e Unicredit) sono arrivate a detenere più del 50% del capitale sociale della BdI. Sorge così un conflitto di interessi (tra i tanti che ci sono in Italia).
La provocazione è la seguente: perché non utilizzare questo tesoretto per finalità sociali, invece che utilizzarlo (in parte) per un aumento di capitale che va a vantaggio delle sole banche azioniste?
Come San Precario, abbiamo fatto i conticini: per finanziare un reddito di base incondizionato per garantire 7200 euro l’anno a tutti coloro che hanno un reddito inferiore a tale soglia, sarebbero necessari più o meno 10 miliardi di euro oltre a quelli che, con gli ammortizzatori sociali, lo Stato già spende, in varie forme. Con il decreto Banca d’Italia, sono stati regalati 7,5 miliardi alle banche italiane.
Pensare di destinare tali fondi a finalità sociali per raddrizzare una distribuzione del reddito tra le più inique a livello europeo è cosa impossibile? Crediamo proprio di no! Sarebbe cosa buona e giusta.