Solo qualche riga, tanto per dare un’idea delle condizioni deliranti in cui versa la scuola pubblica italiana.
E per una volta, non per mancanza fondi, ma per le iniziative quanto meno singolari di certi dirigenti, in questo caso di buon accordo con gli amministratori leghisti.
Il Corriere della Sera, edizione del Veneto, riporta la notizia di un accordo tra il Dirigente di un Istituto superiore di Vittorio Veneto e la giunta leghista presieduta da Gianantonio Da Re, in modo da far sì che gli studenti che incorrano in una sospensione per motivi disciplinari siano impiegati “forzatamente” nei lavori di manutenzione del Comune (aiuole, ecc.).
Insomma, li mandano ai lavori forzati.
Quello che stupisce in tutto ciò – a parte la concezione dell’educazione che ricorda certi odiosi modelli vittoriani, o le procedure obsolete di certi carceri minorili – è la nonchalance con cui codesti signori si appropriano di diritti che, imho, non hanno, ergendosi, loro sponte, a fonte legislativa.
Gli studenti sono dei minorenni, nell’assoluta maggioranza dei casi: chi autorizza un Dirigente scolastico e un Sindaco, che tutto sono tranne che un giudice, a costringere dei minori a svolgere dei lavori in modo coatto?
E chi sarà responsabile, eventualmente, degli incidenti che potrebbero capitare loro?
Il top si raggiunge quando l’articolista riporta le dichiarazioni del Sindaco che sostiene che il tutto si fa «nello spirito della legge che prevede il recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale e in generale a vantaggio della comunità».
Quale legge? Quale recupero? Parliamo di studenti ‘colpevoli’ di una mancanza a livello normativo scolastico, non di profili penali.
Quale legge italiana dà diritto a un Dirigente e a un Sindaco di sottrarre codesti minori alla patria podestà, visto poi che neanche i loro genitori potrebbero ‘costringerli’ a lavorare e dunque poco importa se le famiglie siano o meno d’accordo?
Se hanno meno di 16 anni, in Italia farli lavorare, a quanto mi risulta, è addirittura un reato. Un reato penale.
Ma a Vittorio Veneto, su queste cose non si scherza!
Nell’Istituto diretto dal Prof. Domenico Dal Mas ci sono regole ben precise, sono 7, a quanto riferisce l’articolista: «vanno dal divieto di uscire dalla classe durante la prima e l’ultima ora, all’obbligo di effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti, passando per la prescrizione di usare i distributori di cibi e bevande solo in ricreazione».
Anche se, ovviamente, pare che le misure draconiane servano a poco visto che «di tanto in tanto anche in questa scuola occorre assumere provvedimenti sospensivi»
Ma no? Davvero?
In ogni caso, passi per la raccolta differenziata, per quella mica occorrono regole ad hoc, ma se a un allievo viene voglia di far pipì alla prima, o all’ultima ora, cosa fa? Va a scuola con il pannolone?
E se ha un calo di zuccheri alla terza ora, si lascia svenire, piuttosto che chiedere di sgranocchiare un crackers?
Tutto questo in una scuola (parlo di quella italiana, in generale) dove tutto o quasi crolla a pezzi, dove gli insegnanti (noi) sono sempre più anziani e frustrati, le classi sempre più enormi, gli edifici sempre più fatiscenti, i programmi sempre più medievali, anche se poi tutto avviene via digitale, almeno in via di principio.
Ma no quello che occorre in Padania è la disciplina degli allievi.
E chi sgarra ai lavori forzati: alla faccia di secoli di pedagogia e di millenni di senso comune.
Chissà cosa ne pensa l’Ufficio Scolastico Regionale del Veneto, sarei curioso di conoscere il suo parere: normativo e pedagogico.
E lei, ministro Carrozza, come giudica i ‘lavori forzati’ per gli allievi che non stanno alle regole?
Se chiede in giro, vedrà che è un uso (barbaro) diffusissimo nelle scuole italiane e non solo negli Istituti superiori. Manca il personale per pulire? Puliscano gli allievi «sregolati», come li definisce il Corriere. Questa sì che è scuola del Terzo Millennio!
Anche se a me di sregolato, in tutta questa storia, mi pare ci sia soltanto il modo di pensare di certi Dirigenti, insieme ai loro sodali Sindaci che, si sa, ce l’hanno duro. Durissimo. Heil!