L'iniziativa rivendica uno status giuridico che secondo gli 'insorti' la città non avrebbe ancora perduto. A partire dal secondo Dopoguerra, il capoluogo giuliano è stato sì governata dall'Italia ma – sostengono – solo in regime di amministrazione civile provvisoria
Dalla ‘italianissima’ Trieste giunge un ultimatum all’Italia. A lanciarlo è il movimento Trieste Libera, nato nel novembre 2011 per portare avanti – dentro le aule di tribunale, oltre che in piazza – una battaglia per ottenere l’indipendenza dal Belpaese. L’iniziativa rivendica uno status giuridico che secondo il movimento la città non avrebbe ancora perduto. A partire dal secondo Dopoguerra, Trieste è stata sì governata dall’Italia ma – sostengono – solo in regime di amministrazione civile provvisoria. Altro che “viva Trieste italiana”. Una posizione che qualcuno considera “antistorica”, estranea alle strutture comunitarie dell’Unione Europea, e il suo largo consenso è dovuto unicamente alla pesante crisi economica. Nonostante la storia sia andata avanti di mezzo secolo, infatti, i cortei del movimento hanno radunano ogni volta migliaia di cittadini, tra ex leghisti e simpatie per lo zar russo Vladimir Putin. Lo scorso otto dicembre l’ultima manifestazione del movimento Trieste Libera ha portato in piazza più di 3mila persone. Numeri inconsueti per la piccola città di confine, che mettono in discussione l’intera classe politica locale e la legittimità stessa delle istituzioni.
E’ a loro che si rivolge l’ultimatum degli insorti, che chiedono il riconoscimento del Territorio libero, il rilancio del porto di Trieste e lo sviluppo dei suoi ‘punti franchi’, con i relativi vantaggi doganali e fiscali. Il 10 febbraio l’ultimatum scadrà, ma finora non si sono avute reazioni da parte del governo italiano. “Siamo occupati militarmente da uno Stato che viola i diritti dei cittadini di questo territorio”, attacca Roberto Giurastante, presidente del movimento. Se le risposte non arriveranno? “Decideremo come procedere”. Per capire quanto sta accadendo a due passi dai nostri confini orientali bisogna fare un salto nel passato. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, nel 1947 venne firmato a Parigi il Trattato di Pace, che sancì la fine della sovranità italiana su Trieste e l’istituzione del Territorio Libero di Trieste. Vero e proprio stato indipendente, posto fra la Jugoslavia titina e l’Italia atlantista, il “Territorio Libero di Trieste” (diviso in “Zona A” e “Zona B”) tornò rispettivamente sotto l’amministrazione dei governi italiano e jugoslavo nel 1954, in seguito al cosiddetto Memorandum di Londra. Poi, con il trattato di Osimo del 1975, Italia e Jugoslavia formalizzarono la spartizione del “TLT”, nel rispetto dei confini già stabiliti dal Memorandum.
Una lettura della storia condivisa solo in parte dal Movimento Trieste Libera, che considera il “TLT” ancora vigente. “Lo status giuridico del Territorio Libero di Trieste rimane quello determinato dal Trattato di Pace del 1947”, sostiene Roberto Giurastante, che chiarisce: “Siamo uno Stato indipendente sul quale l’Italia ha perso definitivamente la propria sovranità con l’entrata in vigore del Trattato, che nessuno ha mai modificato. E il successivo accordo siglato con Stati Uniti e Gran Bretagna, quello che affida all’Italia l’amministrazione civile provvisoria della zona A (il Memorandum di Londra), ne è la conferma”. E conclude: “Il trattato di Osimo? Non aveva il potere di modificare né il Memorandum di Londra né il Trattato di Pace”.
Non tutti, però, condividono. Stefano Amadeo, docente di diritto internazionale all’Università degli Studi di Trieste, allarga il discorso al contesto storico. “Il Territorio Libero di Trieste nasce nel Dopoguerra come istituto straordinario per risolvere una situazione straordinaria. Istituto che però non si è mai realizzato perché sono mancate le condizioni concrete per darvi attuazione. Fin da allora infatti, Italia e Juguslavia non riuscirono a dar vita al progetto previsto a livello normativo”. A dirlo sarebbe lo stesso Memorandum di Londra, che insieme al Trattato di Osimo, aggiunge Amadeo, “si pone espressamente come attuazione di quanto previsto e non realizzato nel Trattato di Pace del 1947”. Insomma, la previsione normativa sarebbe di fatto “surclassata dai tempi”. E oggi? “Far rivivere il TLT è utopico”, continua il professore. “Comporterebbe la secessione da un’area estremamente connessa e integrata al suo interno, al fine di sfruttare individualmente dei vantaggi che in questo caso corrispondono agli svantaggi degli altri territori confinanti”. La Trieste libera rivendicata dal Movimento sarebbe dunque “fuori da ogni dinamica comunitaria”, e di conseguenza avrebbe vita dura: “Un territorio isolato, escluso dall’Unione europea e da tutte le sue strutture di integrazione, siano esse economiche, giuridiche o militari”.
Non è la prima volta che a Trieste viene sollevata la questione del TLT, ma mai fino ad ora si era imposta a tal punto nell’ordine del discorso, complice la profonda crisi che soffoca l’economia locale. Anche la città giuliana infatti, un tempo favorita dalla posizione geografica, crocevia mitteleuropeo e punto d’incontro tra l’Occidente e i Balcani, risente della condizione generale. “E’ innegabile che il calo di consumi c’è stato – osserva Franco Rigutti, vicepresidente di Confcommercio di Trieste – e ha toccato anche le imprese del nostro territorio. Nei primi anni la clientela slovena e croata ha arginato la crisi. Poi, con Slovenia e Croazia in condizioni simili alle nostre, la recessione ci ha travolti”. E i dati confermano. “In una città di 207mila abitanti, nel 2012 gli occupati scendono per la prima volta sotto le 90mila unità”, si legge nell’ultimo rapporto di Regione Friuli Venezia Giulia. Rispetto al 2011, ben 1175 disoccupati in più. Roberta Molaro del Servizio Osservatorio mercato del lavoro, avverte: “Nel breve periodo non si intravedono spiragli di ripresa”. Così, come accade in altre aree dell’Eurozona, alla congiuntura si oppongono le spinte indipendentiste con le loro ricette anticrisi.
Quelli di Trieste Libera sostengono, ad esempio, che la città non debba contribuire al pagamento del debito pubblico italiano, e contrastano apertamente l’azione di Equitalia. Il rilancio dell’economia? Il movimento punta tutto sull’uso di un porto franco – edificato nel 1719, quando Trieste era parte dell’impero austro-ungarico – oggi in gran parte inutilizzato. “Il porto internazionale è l’unica possibilità reale di sviluppo”, sostiene il presidente Giurastante, che attacca: “E’ stato declassato dal governo italiano. Per non fare concorrenza agli altri porti non sono stati utilizzati i punti franchi: una follia assoluta”. Parole sempre più forti, che arrivano anche nelle aule dei tribunali, dove il MTL sta sollevando il difetto di giurisdizione. I processi in cui è coinvolto il presidente Giurastante (sia nelle vesti di parte civile che di imputato) vengono usati come strumento per ottenere dal giudice un riconoscimento delle loro tesi. “Come previsto dal Trattato di Pace in vigore, dev’essere riconosciuto e ricostituito il legittimo tribunale del TLT”, chiedono affinché i cittadini del Territorio libero possano essere giudicati dal loro “giudice naturale”, che non può essere un giudice della Repubblica italiana.
Non proprio un dettaglio per un movimento che mette la “legalità assoluta” alla base della sua ideologia, e che dichiara: “Il trattato del ’47 è la diretta emanazione della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. E noi siamo per difendere i diritti universali”. Parole importanti, ma in forte contraddizione con alcune esplicite simpatie che il movimento ha espresso, per esempio, al premier russo Vladmir Putin. Giunto a Trieste per il vertice bilaterale con Enrico Letta lo scorso novembre, è stato accolto dal Movimento Trieste Libera con uno striscione di benvenuto in cirillico. Tutto qui? Non proprio. In caso di difficoltà ad amministrarsi da soli, gli indipendentisti hanno ipotizzato una richiesta di intervento all’Onu “affinché l’intera zona venga trasferita a un altro Paese”. Le preferenze? L’Austria, ovviamente, ma anche la Russia di Putin, non esattamente al primo posto per il rispetto dei diritti umani. Una questione di prassi, dicono: “La Russia è l’unico paese, tra i firmatari del Trattato di Pace, a non fare parte della Nato”, organizzazione che potrebbe fare pressioni affinché le istanze sul “TLT” non vengano accolte.
Ma se lo zar Vladimir è per ora un’ipotesi lontana, molti ex leghisti (tra cui Stefano Ferluga, già presidente del movimento e tuttora nel suo direttivo) si sono già integrati. Stanchi di attendere la secessione padana, hanno deciso di accontentarsi di quella triestina. Non stupisce allora di trovare, tra le richieste avanzate dal MTL al governo italiano e al centro dell’ultimatum, le seguenti rivendicazioni: “In tutte le assunzioni di personale la preferenza deve essere data a cittadini del Territorio Libero. Andranno infatti scelti con carattere preferenziale, a parità di competenze, cittadini di Trieste e del Territorio”. Interrogato sul sapore discriminatorio di questa richiesta, Giurastante chiosa: “Anche questo è previsto dal Trattato di Pace in vigore”. Ultimo ma non ultimo, il movimento monarchico austriaco, che ha preso parte e parola al comizio conclusivo della manifestazione, lo scorso otto dicembre. “Siamo consapevoli che la presenza di altri soggetti e di altri movimenti politici europei porterà alla crescita e all’affermazione dei nostri diritti”, ha scandito il presidente Giurastante. Migliaia rispondono in coro: “Trieste, Libera!”. L’Italia è avvertita.
video di Alberto Zanardo e Stefano Tieri