La situazione in Italia precipita sempre più verso la tragicommedia totale. Se non ci fosse da ridere, ci sarebbe da piangere. O viceversa, se volete, a seconda dei desideri e delle inclinazioni di chi la consideri. Noi, che siamo coinvolti a fondo in tale spiacevole situazione, siamo ovviamente più portati verso il pianto. Al quale però deve seguire l’indignazione, salutare moto di reazione dell’animo che si apre all’iniziativa e alla lotta, dura quanto deve essere vista la situazione.
L’ultimo indizio di questo scivolamento progressivo del Paese nel baratro è costituito dalla reazione delle varie componenti della destra alla sacrosanta richiesta del presidente del Senato di proporre la costituzione di parte civile dell’istituzione nel processo contro Berlusconi per la compravendita dei senatori. Scelta irreprensibile e coraggiosa, assunta contro il parere dell’Ufficio di presidenza. Scelta inevitabile per tentare di restituire un minimo di dignità a un’istituzione che oggi si vorrebbe abolire, assestando un nuovo colpo alla democrazia e alla rappresentanza dei cittadini italiani.
L’attacco contro la democrazia italiana viene condotto da qualche tempo secondo linee convergenti. Da un lato, mediante la corruzione, da parte di chi, come Berlusconi, è accusato di essersi dedicato alla compravendita di deputati e senatori. Dall’altro, mediante teorizzazioni di stampo autoritario sulla necessità di un governo forte, con le mani slegate, frutto di una sorta di investitura plebiscitaria popolare. Ho più volte sottolineato come questa retorica di bassa lega miri a far passare l’idea, totalmente infondata, che i problemi del nostro Paese derivano dall’assenza di istanze in grado di decidere in virtù di un eccesso di democrazia. E’ vero esattamente il contrario. La democrazia partecipativa e plurale è l’unica via d’uscita alla crisi attuale. Occorre rafforzare e non già indebolire, come da tempo sta avvenendo, i diritti dei cittadini nei vari campi: politico, civile, economico, sociale, culturale, ambientale. Nulla di più sbagliato che pensare che un uomo solo al comando possa risolvere i problemi del Paese. Gli esempi della storia, per chi la conosce, stanno a lì a dimostrare che esito catastrofico abbiano avuto queste panzane.
Non è del resto casuale se i corruttori e gli autoritari siano in fondo le stesse persone. Oggi l’abbraccio fra queste due categorie, entrambe ugualmente nocive per la nostra democrazia e il nostro futuro, è rappresentato dalla forte sintonia fra Renzi e Berlusconi. Demagogicamente, i due furboni vorrebbero abolire il Senato per avere meno intralci da un lato e dall’altro mostrare un piglio modernizzatore e risparmiatore in omaggio all’altra abusata retorica sui costi della politica.
Questi ultimi vanno invece ridotti decurtando drasticamente le spettanze di tutti coloro che operano nella sfera della rappresentanza. I loro poteri non vanno invece diminuiti, ma semmai sottoposti a costante scrutinio popolare in nome dei principi di trasparenza.
Come affermato dal costituzionalista Mario Dogliani sul manifesto di oggi, la “riforma” del Senato abborracciata da Renzi e C. costituisce “un pasticcio mai immaginato”. L’ideologia che la permea è quella del risparmio a tutti i costi ed è di natura sostanzialmente antidemocratica. Si dovrebbe invece pensare, come propone Dogliani, a una differenziazione delle funzioni, in modo tale da fare del Senato una seconda Camera, su un piede di parità con la prima e con compiti di controllo, ispezione e inchiesta, e legami con le autorità indipendenti.
Ma appare difficile che proposte di buon senso e scientificamente fondate come queste facciano breccia nella mente dei due furboni. I quali sono interessati più che altro ad apparire dei rottamatori in grado di recepire l’indignazione popolare sui benefici eccessivi attribuiti ai parlamentari a fronte di una crescente inutilità delle loro funzioni.
Berlusconi sarà contento. Non è riuscito a comprarsi tutto il Senato ma perlomeno potrà eliminarlo. Vedremo che fine farà la sacrosanta decisione del presidente Grasso, a fronte delle scomposte proteste della destra e del tiepido appoggio del suo partito, più interessato che mai all’inicucio sulle cosiddette riforme costituzionali.