Lorenzo porta i jeans dentro a un paio di sneakers alte. Capelli rasati sui lati, maglietta grigia, collanina, piumino azzurro e un bel po’ di anelli alle dita. Sta nel lungo corridoio dell’istituto tecnico Primo Levi di Bollate in provincia di Milano. Poco dopo le dieci di ieri, intervallo per il cambio dell’ora. I ragazzi escono, parlano, urlano. Sono oltre duemila tra il Levi e l’Erasmo. Due scuole separate da una sola porta. Lorenzo chiacchiera con due amici. Dice: “Io so tutto e le cose non sono andate proprio come è stato scritto. A iniziare con gli insulti anche pesanti è stata Sara”. Si riferisce alla 14enne del Levi picchiata da una coetanea davanti ad almeno venti ragazzi che al posto di intervenire hanno riso, incitato, filmato e messo l’intera sequenza su Facebook. Giovanna, bionda, tuta grigia. E Sara, jeans, giacca marrone.
LA PRIMA PICCHIA, la seconda chiede aiuto, nessuno si muove, il video finisce con due terribili calci al volto. “Giovanna non è di questa scuola, lei sta con la malavita”. Lorenzo sorride, poi spiega: “È solo un modo di dire nostro”. E Giovanna della mala da strada utilizza gesti e linguaggio. “Pisciatura piangi”, urla a Sara dopo il pestaggio. Eppure a sentire Lorenzo, il filmato è solo l’ultimo capitolo di un litigio iniziato molto tempo prima. Alla base di tutto c’è un ragazzo: l’ex di Giovanna è l’attuale fidanzato di un’amica di Sara. “Lei non c’entrava niente, eppure si è messa di mezzo”. Insomma, dopo che il caso è finito sul tavolo dei carabinieri di Rho con una denuncia querela nei confronti della ragazzina bionda, le versioni degli studenti, pur condannando la violenza, ribaltano i fatti. E come spesso avviene, il giorno dopo la colpa ricade sulla vittima che ha provocato. Lorenzo inizia il racconto ma finisce subito. Interviene un assistente della presidenza. “I giornalisti non possono parlare con gli alunni”. La paura di finire nel tritacarne mediatico è alta. Fuori dal portone , sotto la tettoia che conduce al parcheggio, gli insegnanti scappano. Non parlano. Chi lo fa non dice il nome e nemmeno la materia che insegna. Solo si limita a dire: “I nostri studenti sono rimasti molto colpiti, è un fatto grave, ma certamente isolato”. Parla un po’ di più la preside Rosaria Pulia. “Ci siamo accorti giovedì del video e subito abbiamo chiamato i carabinieri”. E i genitori di Sara che fino a quel momento nulla sapevano. Si punta il dito contro “l’indifferenza” di chi non è intervenuto e contro “la non consapevolezza dell’uso dei social network”. A metàmattina la dirigenza invia un comunicato stampa che riassume le parole della preside, quindi alle 12:30 nell’aula multimediale l’incontro con i rappresentanti delle cento classi.
OLTRE UN’ORA di assemblea blindatissima e un’indicazione ferma: l’accaduto nulla ha a che vedere con questa scuola. Anche se poi a ben guardare, oltre a Sara, alunna di prima, tra gli spettatori del pestaggio c’erano molti studenti del Levi. “Gli schiaffi – dice un alunno di prima – quella se li è cercati”. Dalle aule ci si sposta davanti al cancellone giallo che separa il parcheggio da via Varalli. Qui i ragazzi parlano a ruota libera e tutti ripetono la stessa cosa. Sandy, origini calabresi, faccia tonda, occhi brillanti, ombrellino rosa sotto la pioggia è stata l’unica a intervenire dopo il primo calcione. “A quel punto stava esagerando”. Va avanti: “Non dico che Sara se l’è cercata, però nei confronti di Giovanna ha usato parole grosse”. Le dà della “troia e puttana”. Le dice: “Domani ti aspetto fuori dalla scuola”. Questo lunedì e ancora prima. Poi martedì pomeriggio l’appuntamento alla rotonda; la discussione, le spinte, i calci. Eppure nonostante il pestaggio e la denuncia, Giovanna non cambia idea e dal suo profilo su Ask rilancia: “Se lei non faceva la buffona, non mi insultava, non si intrometteva, tutto ciò non succedeva! Spero abbia capito la lezione!”. Il discusso social network, per molti il vero paradiso dei cyber-bulli, torna così al centro della cronaca. Era successo nell’estate 2013, quando su Ask si diedero appuntamento i ragazzi della maxi-rissa bolognese avvenuta nel settembre 2013. “È vero che domani vai ai Giardini con il lanciafiamme a bruciare la Bolofeccia?”.
Racconti, ricostruzioni, qui a Bollate i ragazzi si dividono sulle responsabilità delle due, ma poi si uniscono nel condannare chi ha ripreso, riso, urlato (“Così, cattiva!”), postato tutto su Facebook, rilanciando il video in Italia e oltre. “In Calabria l’ha visto anche mia nonna”, racconta Sandy. “Anche i miei amici in Puglia”, dice un suo amico che conosce il fratello di Giovanna e confida: “Ora sta cercando chi ha girato il video e lo ha messo in rete”. Perché il vero squallore di questa vicenda sta nell’assistere alla violenza senza intervenire filmando tutto come fosse un gioco.
da il Fatto Quotidiano dell’8 febbraio 2014