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Gatti & soldati, la Procura si smentisce: la tenente Balanzoni non ha disobbedito

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Scusate, abbiamo scherzato. Dopo aver scatenato l’interesse (e, diciamolo, il dileggio) della stampa di mezzo mondo, la procura militare di Roma si accorge, bontà sua, che tutto sommato il tenente medico della riserva selezionata Barbara Balanzoni non è affatto colpevole del reato di “disobbedienza aggravata e continuata perché… in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, disobbediva… disobbedendo successivamente… Con l’aggravante di essere rivestita di un grado” così com’è scritto sul decreto di rinvio a giudizio. Due anni di indagini, conclusesi con la richiesta formulata dal sostituto procuratore militare Adele Simoncelli, buttati all’aria in due minuti dal procuratore militare di Roma Marco De Paolis, subentrato  al suo sostituto alla prima udienza del processo per chiedere la cancellazione di questo capo di imputazione. Restano in piedi altri due, di diffamazione e ingiuria verso inferiore. Due accuse apparentemente fabbricate, come ho scritto qualche giorno fa, per dare corpo alla prima. E per le quali il processo riprenderà a marzo.

La vicenda è nota, mentre prestava servizio in Kosovo, la Balanzoni era intervenuta per curare una gatta che rischiava la vita, asseritamente contravvenendo a un ordine del comandante del campo. Il seguito è una storia dove, al di là della retorica sui comandanti e manager che sarebbero gli ufficiali dei “nuovi” eserciti, emerge tutta l’inadeguatezza di un mondo che al tempo della trasparenza globale pensa sia ancora possibile perpetuare invece il modello dell’istituzione totale, quella che Michel Foucault con molta efficacia chiama institution disciplinaire. La risposta sono stati migliaia di articoli sui giornali di tutto il mondo e una mobilitazione della rete con 178mila firma raccolte, fatto non inusuale di questi tempi, ma che ha disarticolato la tradizionale reazione dei nostri militari, che consiste per lo più nella negazione dei fatti e nello screditamento dei protagonisti. Insomma, la società civile fattasi network ha condotto quella che nella terminologia militare contemporanea potrebbe essere definita una effect based operation. Con il, risultato di aver disorientato, almeno temporaneamente, il fronte degli accusatori.

A questo punto, tanto per restare ai militari, potrebbe essere utile ai nostri Stati maggiori prendere atto della vicenda e inserirla tra le lessons learned da inserire durante i corsi di leadership ai “futuri comandanti” o agli addetti alle operazioni psicologiche. Che, come si vede, possono essere più potenti dei codici penali, soprattutto se usati male.

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