Lo so, lo comprendo, si resta senza parole. Il narci-cardinale di Napoli Crescenzio Sepe sguazza e si autocompiace quando la sua persona è al centro del mondo. A Carinaro, paese d’origine della provincia di Caserta dell’illustre concittadino Crescenzio Sepe, l’amministrazione comunale ha dedicato al cardinale l’aula consiliare. Avete letto bene. Sì, proprio così. L’aula del Comune della piccola cittadina è intitolata con tanto di targa a “S.E. card. Crescenzio Sepe”. Chi visita per la prima volta Carinaro potrebbe pensare e dire : “Era bravo questo arcivescovo quando era in vita, il Comune gli ha dedicato perfino l’aula consiliare”. Ma il cardinale è vivo, vegeto, paffutello e con schiocche rosse. Il tributo non è finito. L’omaggio al figlio famoso e illustre di Carinaro continua. A giugno si “celebra” un altro premio intitolato a “Crescenzio Sepe”. Siamo giunti alla sua dodicesima edizione. Un record. In questa occasione tutto il paese si stringe attorno a Crescenzio. I concittadini in fila aspettano con disciplina il proprio turno per portarsi a casa la foto ricordo con il paesano famoso.
Per l’arcivescovo è un fatto normale la celebrazione continua di se stesso. L’auto-intitolarsi un premio letterario “Crescenzio Sepe” rivolto ai ragazzi degli ultimi anni dei licei con l’inchino di sodali e collaboratori sfiora il ridicolo per non dire il folkloristico e l’antieducativo. C’è sempre da dubitare – tra l’altro – quando in palio vengono messi premi in denaro. A presiedere la commissione esaminatrice del riconoscimento letterario non poteva non esserci don Tonino Palmese, vicario episcopale dello stesso Sepe per la carità, assistente ecclesiastico dell’Ucsi Campania, vice presidente della Fondazione Polis, referente regionale di Libera, cappellano dell’Ansaldo, docente a contratto, presidente di altre tante cose e più che altro prete con il lampeggiante e in predicato per diventare vescovo. La Curia di Napoli come sempre se le suona e se le canta. La deriva auto-celebrativa dell’inquilino illustre dell’Arcidiocesi di Largo Donnaregina finisce nel comico per non dire nel patologico. Da due anni il Movimento Cristiano Lavoratori ha istituito il premio “Crescenzio Sepe”. Il fine è nobile: “Dare un riconoscimento alle eccellenze e pungolare la comunità e le istituzioni alla speranza e alla solidarietà”.
Il premio consiste nella riproduzione del volto dell’alto prelato, opera realizzata dal giovane scultore, non parente ma omonimo, Domenico Sepe. Nessuno si meraviglia più di tanto. Nessuno s’ imbarazza. Nessuno grida allo scandalo. Tutti sbattono le mani. E’ la solita Napoli, addormentata che vive tra il sacro, il profano e la superstizione. Immaginatevi la scena: dopo averne letto le motivazioni, il cardinale prende il suo “capocchione” in bronzo dorato e lo dona al vincitore con foto di rito. I premiati commossi stringono tra le mani il “capocchione” dell’arcivescovo e fieri tornano a casa. L’opera oleografica non finisce qui. Lui vive della sua luce e questo conta. Chi proprio non vuole sentire non sente. Papa Francesco è stato chiaro.
Lo scorso ottobre in occasione della convocazione alla Casa Santa Marta dei porporati del “Consiglio di cardinali” nel corso dell’omelia, il Pontefice ha pronunciato parole dirette: “Al Signore chiedo che il nostro lavoro di oggi ci faccia a tutti più umili, più miti, più pazienti, più fiduciosi di Dio, perché così la Chiesa possa dare una bella testimonianza alla gente e vedendo il Popolo di Dio, vedendo la Chiesa, sentano la voglia di venire con noi!”. Parole che il potentissimo Crescenzio Sepe non ascolta. Anzi come sempre fa buon viso a cattivo gioco. Il già organizzatore del grande Giubileo del 2000, già capo di Propaganda Fide poi mandato in esilio all’Arcidiocesi di Napoli dal Papa emerito Joseph Ratzinger, già coinvolto in una serie d’inchieste giudiziarie, premuroso zio con i suoi nipoti ha sparigliato come sempre il tavolo, ha rotto gli indugi e invitato Papa Francesco a Napoli. “Qui sarà a casa sua è un po’ come tornare a Buenos Aires”. Senza parole. Che a Maronn ci accumpagn…