Da chi ha cambiato nome per farsi sponsorizzare dalla linea di biancheria intima a chi si è costruito in casa lo slittino (e la federazione), fino a chi non rinuncia a partecipare nonostante i 55 anni: il bestiario di chi rappresenta il vero spirito olimpico
Sono quelli che partono col sorriso e non lo perdono all’arrivo, anche se il tabellone mostra uno zero più del dovuto. Quelli che accecano gli spettatori con le tutine multicolor, che più che Sochi pare di stare a Rio. Quelli che della neve hanno al più sentito parlare e che si sono allenati sulle colline coi carrelli della spesa. Sono quelli che fanno decine di migliaia di visualizzazione su Youtube e, qualche volta, finiscono protagonisti di un film. I 22esimi Giochi olimpici vantano tanti record. Gli ori da assegnare sono 98 tra 3025 atleti, le nazioni in gara raggiungono quota 88. Tra queste, da tradizione a cinque cerchi, più di una con gli sport invernali ha poco o nulla a che fare. Per la Dominica, Malta, Paraguay, Timor Est, Togo, Tonga e Zimbabwe è una prima volta. Nella maggior parte dei casi le performance dei loro atleti saranno archiviate alla voce folklore e regaleranno materiale per i bloopers, i momenti divertenti fatti di cadute e linguacce. Ma bisogna ricordare che per arrivare a Sochi hanno dovuto qualificarsi in competizioni internazionali. E poi, forse, questi ragazzi sono gli interpreti più adatti di un’Olimpiade invernale in riva al mare.
E’ un veterano del genere Shiva Keshavan. A 33 anni partecipa ai suoi quinti Giochi nello slittino. Questa volta non gareggerà sotto la bandiera dell’India, ma come indipendente perché il comitato del suo paese è stato sospeso per una serie di irregolarità. Keshavan ha origini italiane, ma si allena alle pendici dell’Himalaya, che affronta con un mezzo a rotelle di sua produzione. Nel budello di ghiaccio di Sochi potrebbe incrociare Bruno Banani. Lui in realtà si chiamerebbe Fuahea Semi, ma è stato lieto di prendere il nome dell’azienda di mutande tedesca che lo sponsorizza. Grazie a Fuahea i 100 mila abitanti di Tonga, forse per la prima volta, sentiranno parlare di uno slittino. Esordio assoluto anche per Yohan Goutt Goncalves che porta Timor Est alla ribalta mondiale 12 anni dopo l’indipendenza dall’Indonesia. Il ragazzo ha 20 anni e studia economia a Parigi, dove la sua famiglia è fuggita durante la guerra. In Francia ha imparato a sciare non male e ha creato dal nulla la federazione sport invernali di Timor Est. Dopo i giochi vorrebbe aprire un centro sportivo sull’isola.
E’ figura eclettica anche quella di Vanessa Mae. Vive da anni in Inghilterra, ma la sua bandiera è quella thailandese. La vedremo impegnata tra i paletti dello slalom gigante con il cognome del padre Vanakom. Un modo per liberarsi un po’ della pressione dei 10 milioni di album venduti con degli straordinari arrangiamenti di violino. Non scenderà in pista Peter Adam Crook, che ha scelto l’halfpipe per fare vedere di che pasta sono fatti nelle Isole Vergini. Anche nel suo caso la federazione se l’è fatta da solo, perché ai Caraibi lo snowboard non è propriamente lo sport nazionale. Come altri Crook ha fatto una colletta sui social network per arrivare a Sochi. Di altro livello appare il 17enne pattinatore filippino Michael Martinez, che riporta il paese asiatico ai Giochi dopo anni. Si allena in un centro commerciale, ma chi lo ha visto volteggiare parla di un futuro campione. Come lui non merita la sezione “curiosità” Julia Marino, 21enne paraguaiana impegnata nello snowboard slopestyle. Julia è stata adottata da una coppia americana e si è sempre allenata in Colorado, ma torna a competere per il paese dove è nata e promette di fare bene.
E poi ci sono loro, Marvin Dixon e Winston Watts. Lo slogan è “Ogni sfavorito ha bisogno di un sequel” perché il loro equipaggio parteciperà alla discesa del bob a due per la Jamaica. Si sentono i discendenti della squadra che dalla terra di Bob Marley fece simpatia al mondo alle Olimpiadi di Calgary del 1988. Una storia raccontata dal film della Disney Cool Runnings. Gli occhi, da quelle parti, saranno rivolti anche alla spianata del fondo per ammirare le fatiche di Gary di Silvestri e di Angelica Morrone. Lui è nato negli Stati Uniti, lei in Italia, ma hanno ricevuto la cittadinanza della Dominica per l’aiuto dato alla costruzione di un ospedale per bambini e ora sulla loro bandiera canta un pappagallo verde. Ha divertito tutti alla cerimonia di inaugurazione Tucker Murphy, sceso nell’arena in pantaloncini in onore del suo paese: Bermuda. Fa sci di fondo e si era già fatto apprezzare a Vancouver.
La prima maltese ai cancelletti di partenza nello sci invece si chiama Elise Pellegrin. Ha 23 anni e fino a un anno fa era un’atleta francese. Uno dei paesi più piccoli al mondo, San Marino, porta a Sochi due slalomisti: Vincenzo Micheletti e Federica Selva, classe 1996. E’ la prima ragazza del Titano ai Giochi in nove partecipazioni. Punta tutto sull’esperienza Antonio Jose Pardo Andretta, 43enne sciatore venezuelano. Nel suo paese le montagne ci sono, ma neve e piste scarseggiano e lui è venuto in Svizzera da giovane per affinare la tecnica. Sarà il solo atleta in gara per lo stato sudamericano, mentre il Perù ripropone gli stessi tre interpreti visti quattro anni fa a Vancouver.
Infine il capitolo Africa, da sempre il continente che dona le performance più stravaganti alle Olimpiadi d’inverno. La prima partecipazione risale a Squaw Valley nel 1960 con una squadra di pattinatrici sudafricane. Ma erano gli anni dell’apartheid e quel team era interamente composto di atlete bianche. Negli anni successivi è stata la volta del Marocco e anche quest’anno i discesisti dell’Atlante proveranno a dire la loro. Per lo Zimbabwe oneri e onori saranno affidati al ventenne slalomista Luke Steyn, cresciuto tra i cantoni elvetici dall’età di due anni. Infine il Togo dove a portare la bandiera ci sarà una ragazza italiana, Alessia Dipol. Mancano paesi come l’Etiopia, il Senegal o il Madagascar che negli ultimi anni hanno messo in mostra con simpatia e coraggio le loro tecniche approssimative. Oppure il Ghana di Kwame Nkrumah-Acheampong che a Vancouver si presentò con un completo maculato che gli valse il soprannome di Leopardo delle nevi.
Inspiegabile, invece, l’assenza del Sud Africa: un loro atleta si era qualificato, ma la federazione ha rinunciato al posto. Mancherà anche la Colombia che aveva puntato tutto su Paul Bragiel. E’ un noto uomo di affari della Silicon Valley che negli scorsi mesi ha deciso di tentare l’avventura nello sci di fondo. Bogotà gli aveva concesso la cittadinanza in cambio di visibilità e sovvenzioni alle istituzioni sportive, ma Bragiel nonostante lunghi e duri allenamenti nel Nord Europa non ha staccato il ticket per Sochi. La riprova che i soldi, la creatività e la scelta del paese giusto da soli non garantiscono la possibilità di diventare atleti olimpici. Qualche curiosità anagrafica per concludere. La più giovane in gara sarà la cinese Xuehan Weng, impegnata nel pattinaggio di figura. Ha 15 anni e qualche giorno di meno di un altro gruppetto di adolescenti pronti a dare battaglia. Il nonno di Sochi è Hubertus von Hohenlohe. Lui è un “personaggione”: discendente di nobili tedeschi, è nato in Messico e compete per la federazione locale. Ha esordito alle Olimpiadi trenta anni fa a Sarajevo nello sci alpino e ora ci prova con 55 inverni sulle spalle. Nel tempo libero, mica poco, fa il fotografo e il cantante pop. Lo slittinista russo Albert Demcenko, classe 1971 e il saltatore giapponese Noriaki Kasai, di un anno più giovane, stabiliranno il nuovo record di partecipazioni ai Giochi. Ci sono ininterrottamente da Albertville 1992 e con questa fanno sette Olimpiadi. Solo una di meno per il portabandiera italiano Armin Zoeggler. Che sia ancora il nostro atleta di punta e uno dei pochi con possibilità di medaglia, però, non è esattamente un argomento a nostro favore.