Un milione e cento mila euro di incassi in due mesi con il film low budget Still Life. L’opera seconda di Uberto Pasolini, da 30 anni in Inghilterra per fare il produttore cinematografico, è appena uscita dalla programmazione dei nostri cinema, ma continua a macinare piccoli successi, tra seconde visioni e sale parrocchiali. “Sono sorpreso – spiega al telefono da Londra al fattoquotidiano.it il 57enne romano – visto che parla di un impiegato comunale che cerca i parenti di persone morte sole. E visto anche il periodo d’uscita, quindici giorni prima di Natale. Un risultato dovuto al talento del distributore Bim e ottenuto grazie al fatto che in Italia, a differenza della Gran Bretagna, esiste ancora un mercato di nicchia. La mancanza della barriera linguistica con gli Stati Uniti è un male perché schiaccia il possibile spazio per le opere indipendenti prodotte qui. Perfino Ken Loach a Londra non riusciamo più a vederlo: dopo un paio di settimane i suoi film saltano”.
Dopo l’anteprima internazionale al Festival di Venezia 2013, Still Life è uscito soltanto sugli schermi italiani e svizzeri, poi dalla primavera verrà visto in altri paesi europei, Usa, Giappone e Corea del Sud. “Ci sono titoli italiani che attirano molto di più il pubblico – si schernisce Pasolini – come il film sulla mafia (La mafia uccide solo d’estate, ndr). Il mio film è stato aiutato molto dal passaparola e anche da una copertura mediatica che qui in Inghilterra me la sogno. Anche la critica l’ha trattato in modo strabiliante e in certi casi, dico sul serio, senza giustificazione oggettiva”.
Uno spazio, quello produttivo con la sua Redwave Films che ha sede nel quartiere londinese di Soho, iniziato 30 anni fa. “Da ragazzo amavo il cinema e vivendo a Milano andavo tutte le sere alla Cineteca Nazionale. Poi sono finito a lavorare in banca a Londra, ma dopo tre anni di finanza ho pensato che non avrei potuto farlo per tutta la vita”. E qui inizia per Pasolini l’epopea della gavetta vecchio stile: prima s’intrufola e sfida la produzione di Urla del silenzio di Roland Joffé (1984), set in Thailandia con un caldo micidiale e lui a portare i tè agli attori. Seguono la nascita della casa di produzione inglese che punta su Palookaville (1995) con Vincent Gallo, il botto con la produzione di Full Monty (1998) che portò a casa oltre 250 milioni di dollari in tutto il mondo e diverse candidature agli Oscar. Infine l’opera prima da regista, Machan (2007).
“Sono regista per sbaglio – continua – preferisco essere un produttore sempre presente sul set e ‘creativo’, come vuole la tradizione anglosassone”. Cosa significa? “Che affianco il regista dopo avergli consegnato lo script preparato da produttore e sceneggiatore. Il cineasta-autore qui non esiste”. Per Pasolini il mestiere di produttore è divertente: “Si divertono anche molti miei colleghi in Italia. La difficoltà di produrre cinema è universale, forse solo in Francia si fa meno fatica”. Una battuta anche sul film italiano candidato all’Oscar, La grande bellezza: “Un film molto bello. Non ho letto nulla delle parole di Sorrentino, ma per me questo film è un omaggio a Fellini e il parallelo tra Mastroianni e Servillo è ovvio. Non penso nemmeno che sia un’opera che descriva l’Italia come gli americani si aspettano. Gli italiani sono molto critici quando si tratta di parlare del proprio cinema: del resto quale altro film avrebbe dovuto rappresentare l’Italia agli Oscar?”.
Infine, dal buen retiro londinese, Pasolini riflette: “Difficile seguire lo stato dell’arte in Italia dal web. Percepisco le lamentele sui tagli alla cultura, ma anche Cameron taglia ovunque. E poi, non c’è che dire, leggo spesso della triste e complicata situazione politica italiana, un ladrocinio continuo. Forse è una questione culturale che perdura da centinaia d’anni, un po’ ‘Franza o Spagna purchè se magna’. L’Italia soffre non dell’assenza, ma della carenza di senso civico: pensate che qui i ministri saltano anche solo per aver chiesto informazioni riservate sul visto di un cameriere”.