I tempi sono quelli dei precari in bolletta: richieste immediate per avere prima possibile la liquidazione della buonuscita. Solo che i deputati regionali siciliani non sono esattamente dei normalissimi dipendenti a tempo determinato. Eppure ben quarantuno dei novanta onorevoli che occupano un seggio a Palazzo dei Normanni hanno già chiesto all’amministrazione del Parlamento siciliano l’anticipo del Trattamento di fine rapporto. Cifre variabili, dato che tra i richiedenti ci sono sia parlamentari alla prima elezione che veterani di lungo corso: a Palazzo dei Normanni stanno facendo i conti, basta pensare però che il Tfr di ogni deputato che ha alle spalle una legislatura è quantificabile in circa quarantamila euro.
“Una parte dei deputati regionali sta semplicemente cominciando a esercitare l’ovvio diritto, espressamente previsto dalla legge, alla restituzione di quanto versato per una finalità ora venuta meno, il cosiddetto assegno di solidarietà” ha subito sottolineato l’amministrazione dell’Assemblea regionale siciliana. Dal primo giorno del 2014, infatti, anche in Sicilia è entrata in vigore la legge sulla spending review, che ha cancellato anche il famigerato assegno di solidarietà: un tesoretto che nel dicembre del 2012 aveva costretto Palazzo dei Normanni a liquidare due milioni e duecentomila euro ai deputati non rieletti. Dal primo gennaio dunque il rapporto contrattuale che lega i deputati al Parlamento è cambiato: e dato che il fondo destinato al Tfr è stato abolito, in molti hanno accelerato le pratiche per tornare in possesso della liquidazione accumulata nell’ultimo anno solare.
Una richiesta legittima che però ha fatto storcere il naso a parecchi. Come per esempio quei dipendenti regionali che, come gli onorevoli, avevano da tempo chiesto un anticipo del Tfr, senza però avere mai avuto alcuna risposta. “Se il politico dell’Ars ha il diritto a chiedere l’intera liquidazione perché lo consente la legge e lo fa in una situazione finanziaria di estrema difficoltà per la Regione e per 30mila persone senza stipendio, vogliamo capire perché centinaia di lavoratori regionali che vivono problemi di salute, in alcuni casi anche gravi, non possono attingere al proprio Tfr, esercitando un diritto sancito dalla legge. Non chiedono né aumenti di salario né premi, ma solo avere quello che gli spetta per potere pagare le spese sanitarie” scrivono in un comunicato Marcello Minio e Dario Matranga, rappresentanti sindacali di Cobas/Codir.
In Sicilia insomma la liquidazione del Tfr segue un doppio binario: uno, velocissimo, per i deputati, e un altro, praticamente fermo, per i semplici dipendenti. Il 2014 però ha portato altre piacevoli sorprese agli onorevoli siciliani, atterriti dal fatto che il decreto Monti sembrava incombere come una scure sui loro stipendi. E invece la prima busta paga dell’anno è quasi tutta salva: solo trecento euro netti in meno, rispetto ad un taglio lordo di quasi tremila euro. Il quotidiano on-line livesicilia.it ha paragonato due buste paga del medesimo deputato: a novembre, cioè prima dell’approvazione del decreto Monti, percepiva 14.206 euro lordi che diventavano 8.667 euro netti, mentre a gennaio, dopo l’approvazione della spending review il lordo è stato tagliato fino a 11.100, ma nelle tasche del deputato finiscono comunque 8.315 euro al mese. Sembra una vera e propria magia ma è solo merito del consiglio di presidenza dell’Ars, che oltre ad inventarsi una provvigione extra per i capigruppo, ha deciso di diminuire la parte dello stipendio sottoposta alle imposte: da 10.700 a 6.600: fatta la legge, trovato l’inganno. E pensare che a Palazzo dei Normanni avevano addirittura creato una commissione speciale per recepire sull’isola il decreto varato dal governo di Mario Monti. Una commissione che tra infuocate polemiche ha impiegato un intero anno per raggiungere l’agognato obbiettivo: trecento euro in meno per ogni parlamentare.