Doveva essere l'Eldorado invece è un disastro ambientale. Dopo il fallimento, la concessionaria scappa scaricando i costi di bonifica sulla comunità. Ma nel 2002 il presidente dell'azienda, oggi governatore, diceva: “Il ripristino spetta a noi, faremo un eco-parco”
Laghi al cianuro che infestano colline sventrate e spoglie. Sullo sfondo, dietro pozze giallastre, i resti di vecchie miniere ormai dismesse. Non è il set di Mad Max, ma l’agro di Furtei, quello che a fine anni 90 doveva diventare l’Eldorado della Sardegna. Un sogno che si infrange nel 2009 quando la titolare della concessione, la Sardinia gold mining, porta i libri in tribunale e la corsa all’oro rivela il suo segreto: una bomba ecologica pronta a esplodere di cui si deve far carico la comunità. Sì, perché l’azienda ormai è scappata, come accusano gli ex dipendenti della società.
Una storia già sentita decine di volte se non fosse per un particolare: dal 2001 al 2003, il presidente della corporation responsabile del disastro ambientale è Ugo Cappellacci, attuale governatore e ricandidato dal centrodestra alle imminenti elezioni regionali.
Così il risultato è una specie di paradosso: il capo dell’ente pubblico costretto a pagare i danni di quell’avventura imprenditoriale è la stessa persona che per un biennio ha guidato l’azienda responsabile della devastazione del territorio. Non pochi spicci: la Giunta regionale ha già stanziato 11 milioni di euro per la messa in sicurezza del bacino idrico contaminato da cianuro e altri metalli, ma dall’Igea, la società pubblica regionale incaricata della dismissione delle ex miniere, fanno sapere che la bonifica arriverà a costare decine di milioni di euro.
Eppure il presidente Cappellacci, quando nel 2002 era a capo della Sardinia Gold Mining, si sperticava nel ribadire che “il ripristino delle aree minerarie spetta ai privati” arrivando a promettere la “costruzione di eco-parco” una volta terminate le attività estrattive. Promesse rimaste sulla carta nonostante gli 80 milioni di euro fatturati in un decennio di estrazione di metalli preziosi: 5 tonnellate d’oro, 6mila d’argento e 15mila di rame. Intanto sulle colline nascoste tra Furtei e Guasila, per 300 ettari, rimangono fanghi tossici e acque acide che a ogni rovescio fanno tremare gli abitanti. Il timore è che i veleni fuoriescano dagli invasi contaminando i terreni circostanti. “Sarebbe uno tsunami ecologico, a valle ci sono fiumi e bacini che innaffiano tutto il medio Campidano”, racconta al TgR Attilio Usai, direttore della bonifica dell’ex miniera.
Il paesaggio è spettrale: tubi neri spurgano a valle le acque giallastre dei pozzi e vengono raccolte in un invaso principale, 400mila metri cubi, che ai tempi serviva a raccogliere gli scarti della lavorazione a base di cianuro delle rocce. “Il liquido che si espande in ogni angolo si presenta con lo stesso colore dell’oro, ma quando il sole picchia forte i metalli si cristallizzano e formano grandi zolle blu”, scrive Nicola Pinna sulla Stampa.
A garantire che bomba ecologica non esploda è l’Igea, società in house della Regione che si occupa della gestione di ex cave e miniere. L’azienda pubblica non solo si è presa in carico l’emergenza ambientale, ma ha anche dovuto assumere i dipendenti licenziati dalla multinazionale responsabile del disastro.
La notizia non ha mai varcato i confini dell’Isola fino allo scorso novembre, quando l’ex governatore Mauro Pili, berlusconiano ‘pentito’, pubblica un dossier nel quale, a suo dire, si fa luce su “tutti i soldi che sono circolati attorno alla storia segreta del lago di cianuro” e “su uno strano fondo collegato all’oro di Furtei e depositato alle Isole Cayman”. Il parlamentare leader di Unidos riesce anche a introdursi all’interno della recinzione e, “superando la sorveglianza di guardie armate”, filma lo scempio ambientale.
Operazione ripetuta la settimana scorsa dai Verdi di Angelo Bonelli e Roberto Copparoni. Anche loro, tre mesi dopo Pili, riescono ad aggirare la sorveglianza e girano alcune immagini dell’invaso della morte, “risultato dell’ennesima storiaccia d’inquinamento dove i profitti si fanno sulle spalle di cittadini e ambiente”.
Cappellacci, dal canto suo, affida la sua replica a una nota: “Nel 2003 rassegnai le dimissioni rinunciando a 10mila euro mensili perché denunciai le perplessità sullo svolgimento delle attività di ripristino ambientale. Nel 2009, da presidente della Regione, ho creato le condizioni perché potesse partire la bonifica”. Quello che però il governatore non spiega è come mai la messa in sicurezza della “sua ex miniera” debba pesare sulle tasche dei sardi.