Il fondo da 40 milioni di euro per le “morosità incolpevoli”, istituto ad ottobre dal governo e già di per sé esiguo, lascerà scoperte le vere emergenze. Il cortocircuito è nel vincolo posto alla base di quei finanziamenti, destinati esclusivamente ad inquilini residenti nei comuni “ad alta tensione abitativa”. Quali sono? Quelli elencati in una delibera Cipe aggiornata, l’ultima volta, oltre dieci anni fa, il 13 novembre 2003, e da allora mai più rivista, nonostante il flagello della crisi economica, l’exploit di licenziamenti e l’impennata di ricorsi all’Ufficiale giudiziario. Non è un dettaglio. A quella lista, infatti, devono attenersi anche le Regioni, sia nel ripartire sul territorio la quota parte nazionale spettante, sia nel ridistribuire il proprio fondo di sostegno agli affitti. Un vincolo che vale quanto un cappio per le periferie italiane che mancano all’appello, ma su cui più gravita il macigno degli sfratti. Al di là dei capoluoghi di provincia, ovviamente presenti in quell’elenco, il resto è una geografia in parte sbagliata, di certo non specchio della realtà attuale.
Ad accorgersi della distonia è stata la Prefettura di Lecce, la prima a provare, tramite calcoli statistici e dati provenienti dalle sedi dei tribunali civili, che a rimanere digiuni saranno proprio i Comuni più flagellati. Nel Salento, tra gli altri, Gallipoli, Nardò e Porto Cesareo. Per il resto, non c’è ancora una mappatura dettagliata che restituisca la vera fotografia dell’Italia. Tuttavia, ci sono le punte dell’iceberg, quelle macroscopiche, situazioni note alle cronache, ma sconosciute, evidentemente, al Ministero delle Infrastrutture.
È il caso, sempre in Puglia, di Fasano e in Sicilia di Termini Imerese, che ha un destino legato alle sorti della Fiat, oppure di Bronte, nel catanese. E’ il dramma che si trovano a vivere, ad esempio, nelle Marche, Jesi, Osimo e Falconara Marittima e, in Emilia Romagna, San Giovanni in Persiceto e Budrio, oltre a Fiorano Modenese, Nonantola e Mirandola, comuni colpiti dal terremoto di due anni fa. In Piemonte, i più in sofferenza sono i centri di Chivasso, Leinì, San Mauro Torinese e Ciriè, quest’ultimo uno dei simboli dell’emergenza, dopo la morte, nel 2011, di un 65enne costretto a dormire in macchina assieme alla sorella.
C’è poi la Toscana, con i suoi Borgo San Lorenzo, Orbetello, Massa Marittima, Poggio a Caiano, Cecina, che ha una media di tre sfratti al mese, e, incredibilmente, anche Porto Santo Stefano e Porto Ercole, le mete dei vip, “luoghi dove, proprio per questo, i canoni d’affitto sono proibitivi, pure d’inverno”. A sottolinearlo è Aldo Rossi, segretario nazionale del Sunia. Una prima stima del vero disagio è stata possibile solo grazie alla ricognizione fatta tramite le diverse sedi regionali del sindacato inquilini della Cgil. “E’ un problema di cui nessuno parla. Non lo si vuole affrontare, per troppa burocrazia e per pigrizia politica. Eppure – rimarca Rossi- l’inserimento in quell’elenco fa la differenza nella distribuzione dei fondi. La fa anche nella possibilità di usufruire di agevolazioni fiscali nella stipulazione di contratti a canone concordato, per i quali i proprietari degli immobili possono godere di uno sconto Irpef oppure di una cedolare secca con aliquota più bassa”. A questo si unisce la possibilità, quando prevista, di un differimento o sospensione degli sfratti.
Non è questione di lana caprina, insomma, ma di stare dentro o fuori la fascia di garanzia e di tutela da riconoscere a chi l’affitto non può più pagarlo, per sopravvenuta incapacità legata a una riduzione del reddito, conseguenza spesso della perdita del lavoro. All’appuntamento con il Dl 102/2013, che in autunno ha introdotto il Fondo per gli inquilini “morosi incolpevoli” con una dotazione di 20 milioni di euro per quest’anno e altrettanti per il prossimo, ci si è presentati, dunque, con i calendari fermi a undici anni fa. Nel frattempo, l’acqua sotto i ponti è passata copiosa: nel 2003, il numero di provvedimenti emessi non raggiungeva i 40mila, lievitati, nel 2012, a 67.790, a fronte di un qualcosa come 120.903 richieste al giudice e 27.695 sgomberi eseguiti.
Uno sfratto ogni 375 famiglie, rapporto che nel 2001 era di uno a 539 e che si riduce ancora di più in quarantacinque province, soprattutto in quelle di Prato (1/128), Lodi (1/176), Novara (1/203), Pavia (1/207) e Rimini (1/218). A metterlo nero su bianco è il rapporto “Gli sfrattati in Italia”, stilato dalla Scuola superiore dell’amministrazione dell’Interno, con il contributo del Viminale e del ministero della Giustizia. Sono i dati rimasti nel cassetto, ma che avrebbero dovuto fungere da spia di allarme per un altro ministero, quello delle Infrastrutture, guidato da Maurizio Lupi. Sono anche il grimaldello che la Conferenza Stato-Regioni – dove la questione si è puntualmente arenata – avrebbe potuto usare per ottenere un aggiornamento della delibera Cipe del 2003.