Cronaca

Vaticano, un anno fa l’addio di Ratzinger. “I due Papi più vicini di quanto si pensi”

L'analisi della cronista Ansa Giovanna Chirri, che per prima annunciò la notizia del passo indietro di Benedetto XVI: "Una scelta che ha reso possibile un cambiamento nella Chiesa che non si sarebbe verificato se il pontificato si fosse concluso con la morte"

Il quadrante della storia segna le 11.41 dell’11 febbraio 2013. A Benedetto XVI bastano pochi minuti, una breve dichiarazione in latino (251 parole) rivolta ai cardinali residenti a Roma riuniti per un anonimo concistoro nel Palazzo Apostolico, per cambiare la storia. Non solo quella della Chiesa cattolica, ma del mondo. Qualche osservatore, dopo l’annuncio choc delle dimissioni di Ratzinger, osserva che questa è la notizia del Ventunesimo secolo, anche se siamo appena all’inizio del suo secondo decennio. Si consultano freneticamente i libri di storia. Qualcuno evoca San Celestino V, “colui che fece per viltade il gran rifiuto”, come ha scritto Dante nella “Divina Commedia”. Ma il paragone appare subito impossibile. Basta poco per accorgersi che non esistono precedenti di un gesto “grave”, come lo definisce più volte lo stesso Ratzinger, e straordinario.

La consapevolezza della sua unicità diventa ancor più eloquente il 23 marzo 2013 quando Francesco abbraccia Benedetto XVI a Castel Gandolfo. Il mondo ha due Papi, due vescovi vestiti di bianco. E dal 2 maggio 2013 predecessore e successore convivono in Vaticano, nel “recinto di San Pietro”, con Ratzinger che rinnova più volte a Bergoglio la sua incondizionata “reverenza e obbedienza”. “Due Papi in Vaticano! Ma, mi chiedono, – ha rivelato Francesco ai giornalisti – non ti ingombra lui? Ma lui non ti fa la rivoluzione contro? Tutte queste cose che dicono, no? Io ho trovato una frase per dire questo: è come avere il nonno a casa, ma il nonno saggio. Quando in una famiglia il nonno è a casa, è venerato, è amato, è ascoltato. Lui è un uomo di una prudenza! Non si immischia. Io gli ho detto tante volte: Santità, lei riceva, faccia la sua vita, venga con noi. Se io avessi una difficoltà o una cosa che non ho capito, telefonerei: ma, mi dica, posso farlo, quello? E quando sono andato per parlare di quel problema grosso, di Vatileaks, lui mi ha detto tutto con una semplicità, al servizio”.

La notizia delle dimissioni di Benedetto XVI fa ovviamente il giro del mondo. È Giovanna Chirri, storica vaticanista dell’Ansa, a dare l’annuncio ai media di tutto il pianeta. “Considero un dono e un privilegio – confida la giornalista a ilfattoquotidiano.it – aver potuto seguire Benedetto XVI come giornalista d’agenzia. Essere lì ad ascoltarlo quell’11 febbraio mentre pubblicava le ‘dimissioni’, nei fatti è diventato un regalo alla mia vita”. “A un anno di distanza – racconta Giovanna Chirri autrice del libro ‘L’ultima parola’ (San Paolo) – la rinuncia di Papa Ratzinger risulta con chiarezza ciò che già era appena pubblicata, cioè un atto coraggioso, una riforma nel solco del Concilio che ha reso possibile un cambiamento nella Chiesa che non si sarebbe verificato se il pontificato si fosse concluso con la morte. Benedetto XVI, con la sua decisione presa per il bene della Chiesa, ha mostrato di vivere e intendere il pontificato come servizio e non come potere e ha innescato un processo di rinnovamento altrimenti impensabile”.

E su Benedetto XVI e Francesco la giornalista dell’Ansa sottolinea che se pur diversissimi per storia, temperamento, stile e formazione, “sono più vicini di quanto si pensi in alcuni nodi fondamentali della visione di Chiesa”. La “smondanizzazione“, per esempio, che Benedetto XVI ha predicato a Friburgo, secondo Giovanna Chirri, non è lontana dalla condanna di Francesco della mondanità nella Chiesa. Le fa eco un altro racconto interessante dei vaticanisti Andrea Gagliarducci e Marco Mancini che nel volume “La quaresima della Chiesa” (Tau) ripercorrono i giorni della rinuncia, della sede vacante, dell’elezione e della riforma intrapresa da Papa Francesco con particolare attenzione alla “continuità” nella riforma finanziaria che ha come protagonista principale lo Ior. Inedito il racconto del rapporto tra il cardinale Jorge Mario Bergoglio e l’allora presidente argentino Nestor Kirchner che definì il futuro Papa “il diavolo in abito talare”. “Lo scontro, durissimo, – raccontano Gagliarducci e Mancini – è proseguito anche quando alla testa della Repubblica Argentina si è insediata Cristina Fernandez de Kirchner, vedova di Nestor, soprattutto in occasione della legalizzazione dei matri­moni omosessuali”.

Un anno dopo la rinuncia di Benedetto XVI pedofilia e Ior, ovvero sesso e soldi, rimangono i problemi principali della Chiesa cattolica. Non a caso vanno in questa direzione le prime decisioni di governo assunte da Papa Francesco che hanno messo in luce, in particolare per quanto riguarda la pedofilia, la lotta senza precedenti portata avanti da Ratzinger nei suoi otto anni di pontificato per contrastare alla radice gli abusi sui minori. C’è ancora molto da fare e Bergoglio sta toccando con mano la forte opposizione, spesso sotterranea, di cui è vittima anche un Papa. “La conversione del papato” e la volontà di avere una “Chiesa in uscita” si dovranno scontrare con la Curia ancora troppo “vaticano centrica” e con “la lebbra della corte del papato”.

Twitter: @FrancescoGrana