Per ora solo a parole ma la ‘bad bank’ piace. Al punto che il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco accarezza l’ipotesi di crearne una “di sistema”, un modo tecnico per indicare un qualche coinvolgimento di soggetti (e soldi) pubblici. Le sofferenze bancarie crescono, crescono e crescono (in dicembre + 24,6% rispetto all’anno prima, ormai a quota 156 miliardi) e l’erogazione di finanziamenti all’economia rimane asfittica. La possibilità di scaricare i crediti malati in un contenitore ad hoc viene vista da molti come il modo più efficace per rimettere in modo il mercato del credito. Si guarda a quanto fatto in questi anni in Spagna e in Irlanda o in Svezia all’inizio degli anni ’90. In questi casi sono entrati in gioco lo Stato e i contribuenti che hanno aiutato le banche a superare le conseguenze delle loro scelte sbagliate. Nel lungo termine questa soluzione può anche non comportare perdite per lo Stato, in alcuni casi persino profitti. I rischi tuttavia esistono. Non a caso il ministero dell’Economia storce il naso e puntualizza: bene qualsiasi iniziativa che consenta di gestire meglio questi crediti malati purché non si coinvolgano le casse pubbliche.
Perché e quando la bad bank conviene alle banche – Se qualcuno vi deve mille euro e alla scadenza del prestito non riesce a pagare avete due opzioni. Potete concedere altro tempo e continuare a pensare, forse a illudervi, e a raccontare in giro che tra qualche tempo riavrete i vostri soldi. Nel frattempo non potete però ovviamente usare quei soldi per fare altri prestiti e dovete metterne da parte altri se volete mantenere invariati i vostri risparmi. Se la situazione del debitore peggiora e siete quasi sicuri che i vostri mille euro non li rivedrete mai per intero potete dire “dammi 300 euro subito e chiudiamola qui”. A quel punto incassate dei soldi ma anche una vera perdita di 700 euro che vi costringe ad aggiornare la situazione delle vostre finanze.
La bad bank a partecipazione pubblica è un po’ una via di mezzo tra le due soluzioni. La banca vende il prestito di mille euro in cambio, ipotizziamo, di 200 euro. Altri 200 euro di “aiutino” li mette magari lo Stato. La banca riceve così 400 euro mentre lo Stato diventa titolare del prestito. Sarà lui a farsi carico di recuperare tutto quel che è possibile, potendo magari anche permettersi scadenze meno pressanti, che diano più tempo al debitore per rimettersi in regola. La banca ha incassato dei soldi che può usare per erogare nuovi prestiti ma ha anche “ufficializzato” una perdita che compare a tutti gli effetti nei bilanci. Per questa ragione spesso la pulizia dai crediti dubbi viene accompagnata da una ricapitalizzazione effettuata anche con fondi pubblici.
Questo schema è stato usato in Spagna nel 2012 con una struttura creata dal governo per assorbire crediti di cattiva qualità e immettere risorse fresche negli istituti. I soldi vengono sì anticipati dal fondo europeo ESM (European Stability Mechanism) ma alla fine il conto arriva alle casse pubbliche. L’operazione non ha riguardato le prime due banche del paese Santander e BBVA che stanno gestendo autonomamente lo smaltimento dei loro “non performnig loan”.
Conviene anche allo Stato e ai cittadini? – Potrebbe finire bene. Ma anche no. Lo Stato potrebbe riuscire a recuperare dai crediti deteriorati che si è accollato più di quanto li abbia pagati, specie se le condizioni generali dell’economia migliorano. Potrebbe incassare regolarmente tutti gli interessi sui fondi che ha immesso nelle banche per la loro ricapitalizzazione. Oppure, se la situazione peggiora, potrebbe finire per rimetterci dei soldi. Quello che è certo è che lo Stato anticipa i soldi che, attraverso meccanismi più o meno complessi, alla fine si trasformano in debito pubblico.
Se l’intervento è consistente, potrebbe avere un effetto negativo anche sul rating del Paese e innescare un rialzo degli interessi pagati sui titoli pubblici. Spesso è difficile stimare esattamente l’ammontare di crediti dubbi di cui le banche devono disfarsi per ritornare ad una piena operatività che solitamente iniziano a diminuire 18/24 mesi dopo l’inizio della ripresa. Nel frattempo il fardello per le casse pubbliche può diventare davvero gravoso. Ci sono però anche dei potenziali benefici indiretti a favore dei cittadini. Se l’operazione ha successo, la gravità della crisi può risultare attenuata e i tempi di una ripresa possono essere effettivamente accelerati.
Cosa cambia per chi chiede credito e per chi ha dei debiti – Ripulite e rinforzate, le banche dovrebbero essere pronte, almeno in teoria, per erogare nuovi finanziamenti. Gli indicatori patrimoniali migliorano, non serve più accantonare soldi per far fronte alle possibili perdite sui crediti in sofferenza. Nella pratica non tutto fila sempre così liscio. In Spagna ad esempio la creazione della bad bank ha sì salvato gli istituti beneficiari dalla bancarotta, ma sinora non ha avuto gli effetti sperati in termini di ripresa dei crediti all’economia.
Per i debitori dei prestiti ceduti alla bad bank ci sono vantaggi e svantaggi. Per loro è possibile forse usufruire di scadenze più dilazionate ma se entrano in gioco soggetti specializzati nel recupero dei crediti è possibile che la pressione nei loro confronti diventi ancora più forte. Quella a cui lavorano Intesa San Paolo e Unicredit è una “bad bank”? Non nel senso utilizzato sinora. I due big italiani del credito stanno ipotizzando di creare congiuntamente una struttura privata in cui far confluire i rispettivi crediti dubbi (in tutto circa 120 miliardi di euro tra sofferenze e incagli) per affidarne poi la gestione al fondo specializzato KKR. Un’ iniziativa che non prevede interventi pubblici di sorta e non grava sul bilancio statale. Nell’immediato, l’operazione serve soprattutto per abbellire i bilanci, rendere i propri titoli più appetibili sui mercati e migliorare gli indicatori patrimoniali in vista degli esami di Banca centrale ed Autorità bancaria europee. In prospettiva affidare a specialisti la gestione dei crediti in sofferenza potrebbe consentire ai due istituti di racimolare effettivamente qualche soldo in più.