I dati mostrano che la crisi ha colpito tutti i redditi, ma in misura maggiore quelli più bassi. L’aumento della disuguaglianza si registra a partire dal 2008. Così come accade per la povertà. La necessità di tornare a crescere e la riforma degli schemi di contrasto all’esclusione sociale.
di Massimo Baldini, Elena Giarda e Arianna Olivieri, 07 Febbraio 2014, lavoce.info
I redditi prima e durante la crisi
La scorsa settimana, la Banca d’Italia ha reso disponibili i microdati relativi al 2012 dell’indagine biennale sui bilanci delle famiglie italiane. I dati ci offrono la possibilità di studiare l’evoluzione della diseguaglianza nella distribuzione del reddito e della povertà fino al 2012, coprendo quindi buona parte del periodo della crisi economica iniziata nel 2008. Descriviamo qui la dinamica di diseguaglianza e povertà prima e durante la crisi, rimandando a successivi interventi eventuali approfondimenti sugli effetti della crisi per gruppi sociali.
La variabile che consideriamo è il reddito equivalente, calcolato dividendo il reddito disponibile famigliare per una scala di equivalenza, così da ottenere un reddito pro-capite corretto per le economie di scala famigliari. Tutte le elaborazioni sono riferite agli individui, attribuendo a ciascuno il reddito (inclusi i fitti imputati) della famiglia a cui appartiene. (1)
La figura 1 mostra di quanto è cambiato in percentuale il reddito equivalente medio di ciascun decile della popolazione. (2) Prima della crisi, cioè nel periodo 2000-2008, si nota un aumento del reddito reale per tutta la popolazione, particolarmente forte per il 10 per cento più povero. Con la crisi (tra il 2008 ed il 2012) il quadro cambia in modo radicale: il reddito diminuisce per tutti, soprattutto per il primo 10 per cento, che registra un crollo di un quarto. Considerando l’intero periodo 2000-2012, si osserva una riduzione per tutti i decili, più intensa per i due più bassi.
Figura 1 Variazione percentuale del reddito equivalente per decili
Se usiamo un indice di diseguaglianza più sensibile a quanto avviene nella coda sinistra della distribuzione, come la deviazione logaritmica media, invece, si nota, in coerenza con la figura 1, una più chiara riduzione nel primo periodo e un incremento durante la crisi. Questo indice ritorna, alla fine del periodo, a valori simili a quelli di dodici anni prima. La differenza tra il punto minimo e il 2012 è, anche se di poco, significativa.
Figura 2 – Indici di diseguaglianza della distribuzione del reddito equivalente
L’indice di diffusione della povertà relativa calcola quante persone vivono in famiglie con reddito equivalente inferiore a una certa percentuale del reddito medio o mediano della popolazione. Seguiamo il criterio Eurostat, in base al quale la linea di povertà è definita come il 60 per cento del reddito mediano equivalente famigliare. La figura 3 ci dice che nei dodici anni considerati la quota di persone in povertà è aumentata poco: dal 20 al 21 per cento. Inoltre, tutto l’aumento si è verificato prima della crisi. La ragione di questo andamento, lontano dalla comune percezione della gravità della crisi, sta nel fatto che la linea di povertà varia di anno in anno: se si verificasse ad esempio una recessione con un crollo diffuso dei redditi, senza modificazioni nelle posizioni relative, l’indice rimarrebbe invariato. (3)
Per ottenere una misura di povertà che sia ancora almeno in parte relativa (nel senso che la linea è ancora una frazione del reddito medio o mediano), ma che sia in grado di tenere conto del cambiamento dei livelli assoluti dei redditi, si può scegliere di fissare la soglia di povertà nell’anno di partenza, aggiornandola, per gli anni successivi, solo in base al tasso di inflazione. La figura 3 mostra quanti individui sono al di sotto della linea di povertà calcolata per il 2000 e tenuta fissa in seguito. Coerentemente con quanto emerso dalla figura 1, si osserva un calo della quota dei poveri nella prima parte del periodo, mentre con la crisi si verifica un deciso incremento, particolarmente forte nell’ultimo biennio considerato. Tra il 2000 e il 2006 il numero dei poveri sarebbe quindi diminuito da 11,4 a 9,6 milioni di persone, mentre tra il 2006 e il 2012 vi sarebbe stato un incremento di ben 3,9 milioni di persone, portando il numero di poveri a circa 13,5 milioni.
Figura 3 – Percentuale di individui in povertà relativa (con soglia variabile e soglia fissa 2000)
Il crollo dei redditi più bassi ci dice che è essenziale che si ritrovi la strada della crescita e rende urgente una riforma degli schemi di contrasto all’esclusione sociale, come il Consiglio d’Europa ha ricordato all’Italia pochi giorni fa. Ma visto che il reddito è diminuito anche per le famiglie che non sono povere, la disponibilità ad accettare nuove politiche redistributive non è certo elevata.
(1) Il reddito che consideriamo è composto dal reddito monetario e dalla valutazione fatta dal proprietario dell’affitto imputato sugli immobili di proprietà, compresa l’abitazione di residenza. Abbiamo verificato che utilizzando il solo reddito monetario si ottengono andamenti molto simili.
(2) Ogni decile comprende il 10 per cento della popolazione italiana, dal 10 per cento più povero (il primo decile) al 10 per cento più ricco (il decimo).
(3) Su lavoce.info si vedano gli articoli “Poveri sì, ma sotto quale soglia?” di R. Tangorra del 4/9/12, “Una riflessione sulle misure di povertà” di L. L. Sabbadini del 14/9/12 e “La linea (di povertà) è mobile” di G. Vecchi e N. Amendola del 2/10/2012).