L'Audiencia Nacional di Madrid ha accolto la denuncia del Comitato pro Tibet: "Campagne di aborto e sterilizzazioni di massa". In passato i precedenti per Pinochet e Videla. Ma dopo scontri diplomatici e rischi di ricadute commerciali il governo ha preparato una riforma (retroattiva) per limitare la competenza dei magistrati
Genocidio, tortura e lesa maestà nei confronti dei tibetani. La magistratura spagnola ha spiccato un mandato internazionale di cattura e detenzione in carcere per l’ex presidente cinese Jiang Zemin, l’ex premier Li Peng e altri dirigenti del Partito comunista cinese. L’ordine di cattura, formalizzato dal giudice dell’Audiencia Nacional di Madrid Ismael Moreno, accoglie la denuncia presentata nel 2006 dal Comitato pro Tibet che si è costituito parte civile nella causa. Il giudice aveva aperto un’indagine in merito, dove si fa riferimento a deportazioni, torture e altri abusi illegali sia fisici che mentali. Nella denuncia si accusa apertamente Jiang Zemin di “sottomettere i tibetani in maniera indiscriminata a politiche di panificazione familiare forzose, che comprendevano campagne di aborto e sterilizzazioni di massa” perpetrate contro la popolazione dal 1971 al 2005.
Eppure la decisione, che si avvale del principio di giurisdizione internazionale, che permette a qualsiasi Paese di poter giudicare crimini contro l’umanità, rischia di restare sulla carta. Da anni diversi giudici di Madrid, forti del principio di giurisdizione universale, hanno aperto fascicoli su genocidi, crimini, torture e sparizioni. Il 16 ottobre del 1998 fu Baltasar Garzón ad emettere il primo mandato internazionale di cattura contro il generale cileno Augusto Pinochet: l’accusa nei confronti dell’ex dittatore riguardava la morte a la tortura di alcuni cittadini spagnoli. Anche se gli strumenti giuridici in ambito internazionale erano già presenti, quella fu la prima volta nella storia contemporanea che la Spagna ne esercitò il diritto. Qualche anno dopo fu la volta dell’Argentina, in merito allo scandalo dei desaparecidos durante la dittatura militare di Jorge Videla dal 1976 al 1983.
Da allora la Spagna ha portato avanti parecchi processi di giurisdizione universale. In ultimo quello intentato contro la cupola del Partito comunista cinese. Già lo scorso novembre, quando il provvedimento era stato annunciato, la Cina non aveva affatto gradito l’ingerenza iberica. E lo scontro diplomatico con Madrid era già cominciato, con tanto di pressioni di carattere commerciale ed economico esercitate da Pechino.
Così, proprio adesso che il giudice Moreno ha ordinato la cattura per l’ex presidente cinese, il Congresso dei deputati potrebbe approvare una riforma della Ley orgánica del Poder judicial (Legge organica sulla magistratura), proposta dai popolari del premier Mariano Rajoy, che ridurrà, e di molto, la competenza dei giudici spagnoli in ambito internazionale.
Il punto di fondo gira tutto attorno all’esistenza della Corte penale internazionale. Con un’eccezione: né gli Stati Uniti, né la Russia né la Cina accettano la giurisdizione del Tribunale dell’Aia. La legge, che l’esecutivo di Rajoy sta preparando, tarderà alcuni mesi prima di entrare in vigore, ma il suo effetto potrebbe essere, secondo fonti giuridiche, retroattivo con duplice effetto: l’archiviazione di molte delle inchieste aperte sul fronte internazionale dalla giustizia spagnola e l’allontanamento dei contraccolpi diplomatici che indagini di questo tipo comportano. D’altronde la Cina è, dopo la Francia, il secondo Paese con più alto debito spagnolo in mano, circa il 20 per cento. Senza contare che Pechino rappresenta per le casse già poco ricche di Madrid un partner commerciale molto importante: circa 600 imprese iberiche hanno filiali in Cina e la cifra continua a crescere. Piaccia o non piaccia al Tibet.