Raggiungere una crescita di almeno il 2% l’anno, portare i conti pubblici in pareggio entro il 2012 e riportare il debito pubblico al 100% del Pil entro tre anni. La ricetta?Reintrodurre l’Ici sulla prima casa, aumentare l’Iva al 23% entro settembre 2012 e imporre una maxi tassa patrimoniale del 2% su tutta la ricchezza immobiliare esclusa la prima casa, i depositi bancari e i titoli di Stato con un incasso stimato a 85 miliardi di euro.
Questo, in sintesi, il Grande Piano di Rilancio che l’allora amministratore delegato di Intesa SanPaolo Corrado Passera aveva preparato per Giorgio Napolitano durante la calda estate del 2011 mentre il capo dello Stato stava sondando Mario Monti per un incarico come premier. La prima bozza del documento di 196 pagine fino ad ora rimasto segreto è di agosto, la quarta risale invece al novembre dello stesso anno. Il filo rosso lo indica lo stesso autore che parla di “un vero shock strutturale positivo” per il rilancio dell’economia.
Secondo quanto riportato dal giornalista Alan Friedman, prima a Piazzapulita su La7 e poi sul Corriere della Sera in edicola martedì 11 febbraio, Napolitano avrebbe accolto con favore il piano Passera e lo avrebbe invitato a condividere il documento, un vero e proprio programma di governo possibile, con il futuro presidente del Consiglio. “Lo stesso Monti – ha detto il giornalista – mi ha confermato di aver visto questo documento a pranzo. Ci sono state quattro versioni, quattro bozze di documento da agosto a novembre”. La prima bozza del documento era pronta ad agosto. Lo stesso mese in cui era arrivata la celebre lettera della Banca centrale europea che chiedeva interventi per stabilizzare finanziariamente il Paese.
L’accoglienza positiva del testo è testimoniata dal fatto che al banchiere, nonostante il clamoroso insuccesso del tristemente celebre Piano Fenice che avrebbe dovuto risollevare le sorti dell’Alitalia, è stata data una seconda possibilità per di più in uno dei momenti più delicati della storia della Repubblica. Cioè quella di mettere in pratica le sue idee con un incarico di peso nell’esecutivo Monti e la guida del ministero dello Sviluppo economico. Peccato che il piano, fattibile o meno, si sia arenato non appena il banchiere è passato alla politica. Tanto meno sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati. Nel 2012, infatti, il Pil si è contratto del 2,4%, il rapporto deficit-Pil invece di essere in pareggio è arrivato al 3% e il rapporto debito-Pil è salito al 127 per cento.
Lettera morta anche per quanto riguarda linee guida e intenti. “Nelle ultime settimane si è perso un grande patrimonio di credibilità che occorre ricostruire al più presto – si legge nel documento – e per rimettere in carreggiata il Paese serve un piano per la crescita e la riduzione del debito con un’ampiezza circa dieci volte maggiore di quella recentemente introdotta e con molta maggiore enfasi sulla crescita sostenibile“. E aggiunge: “Non proporla agli italiani, adesso e con sincerità, costruendo il vasto consenso necessario attraverso la condivisione di benefici e sacrifici, potrebbe, in tempi brevissimi, mettere a serio rischio la nostra economia, e forse, la nostra stessa democrazia“.