A Giorgio Napolitano le elezioni inquietano. Senza scomodare il giallista Alan Friedman, già tre anni fa, il Quirinale preferì non interrompere la legislatura e dunque precluse il voto anticipato che avrebbe provocato due effetti: una mazzata per la destra di Silvio Berlusconi, che s’era sacrificato con le dimissione e l’agevole ingresso a palazzo di Chigi di Pier Luigi Bersani.
Ma Napolitano accolse il suggerimento europeo, l’indicazione di un premier tecnico, Mario Monti. Oggi non abbiamo più l’esigenza di un salvatore straniero con passaporto italiano, ma un cambio senza elezioni sì. O meglio: questa è l’esigenza che condiziona il Quirinale. E così, entro i prossimi giorni, avremo un nuovo presidente del Consiglio per una staffetta non certo olimpionica: Matteo Renzi, che accetta l’incarico e che rischia tantissimo.
Al segretario democratico conveniva il voto, subito, magari in primavera, ma Napolitano ha risposto con un no quirinalesco. Fra parentesi: le maledizioni per la legge elettorale e le fotografie con Silvio Berlusconi sono servite soltanto a impaurire Enrico Letta e, soprattutto, a scatenare una crisi che di fatto non esiste.
Perché il governo era immobile a novembre quando il segretario era ancora Guglielmo Epifani e ugualmente è immobile adesso. Renzi non vuole aspettare e Napolitano non vuole accelerare. In mezzo c’è Letta, che va convinto entro domenica (già si pronostica un giorno per il varo di un governo Renzi). Al Quirinale attendono le dimissioni di Letta, questione di ore, al massimo giovedì. Qualcuno a caso poi, fra giornalisti parlamentari e opinionisti a gettone, avrà la forza di ricordare che avremo un governo sostenuto da un Parlamento figliastro di una legge elettorale illegittima? E che farà Berlusconi, l’opposizione a Renzi, il compagno di ventura (e avventura) per riformare la Costituzione?