L'olandese Ireen Wust ha vinto l'oro di specialità e, come successo a Vancouver, sul podio ha baciato la sua compagna. Sono 7 in tutto gli atleti dichiaratamente gay alle Olimpiadi
Si è fasciato stretto nel suo giaccone rosso e si è calato il volto dell’affabile padrone di casa. Poi Vladimir Putin è entrato al party di una nota birra olandese, se ne è scolata una con la famiglia reale Orange e ha abbracciato Ireen Wust. Non è questo il trattamento che il presidente russo riserva a tutte le campionesse olimpiche, è che la Wust è la prima medaglia dichiaramente gay ai Giochi di Sochi. La 27enne sul Mar Nero ha vinto il suo terzo oro nel pattinaggio sul ghiaccio di velocità con un gran tempo nei 3000 metri. Wust è personaggio noto in Olanda per meriti sportivi e non solo.
A Torino nel 2006 era diventata la più giovane vincitrice olimpica del paese. Quattro anni dopo a Vancouver si è confermata e per festeggiare era corsa a stampare un bacio sulla bocca della sua compagna di squadra e di vita Sanne van Kerkhof. Un gesto che a Sochi non ha ripetuto perchè la Wust non intende ora usare i suoi successi sportivi per promuovere i diritti gay. “Voglio parlare di pattinaggio ha detto ai cronisti a fine gara . Perchè non chiedete a Sven Kramer (altro oro olandese sul ghiaccio) come va la sua vita sentimentale?”. La federazione di Amsterdam è quella che ha portato il maggior numero di atlete gay ai Giochi. Oltre a Ireen Wust c’è la sua ex compagna van Kerkhof che come in Canada ha partecipato alla finale dei 3000 metri di velocità. Con loro c’è la snowboarder Cheryl Maas, sposata con un’altra ex atleta olimpica: Stine Brun Kjedlass. Le due hanno una bambina di nome Lara e sono tra le sportive più agguerrite nella battaglia contro l’omofobia. Maas nella gara di qualificazione dello slopestyle ha mostrato alle tv un guanto arcobaleno. In precedenza aveva espresso pareri molto duri sulle leggi antigay approvate dal Cremlino. “Con la scelta della Russia - aveva dichiarato - il Comitato olimpico costringe lo sport a un salto indietro nel tempo. Questo è un paese che vive nel passato, mentre noi dovremmo guardare avanti”.
Su 2800 atleti presenti a Sochi sono sette quelli che hanno dichiarato in pubblico la propria omosessualità. Sono tutte donne. Anche Belle Brockhoff è una snowboarder, anche lei ha criticato la scelta di fare ospitare le Olimpiadi a un paese che definisce omofobo. Ventunenne, Belle ha fatto coming out negli scorsi mesi in vista della partecipazione ai Giochi. Ha detto di aver aderito con entusiasmo alla campagna Articolo 6 che fa riferimento alla Carta olimpica secondo cui “ogni discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale è incompatibile con i valori dello sport”. Fa parte del gruppo la pattinatrice canadese Anastasia Bucsis, che ha rivelato di essere gay la scorsa estate in occasione del Calgary Pride. Anche lei ha sentito il bisogno di fare sapere a tutti della sua omosessualità per via della sua presenza a Sochi. “Sono fiera di essere gay aveva scritto su Twitter e non ho nessuna intenzione di nascondermi come vorrebbero che facessi in Russia”.
Barbara Jezersek è un’atleta di punta della nazionale slovena di fondo. Anche lei ha affidato ai social network la sua doppia soddisfazione per essere in pista: competere per il proprio paese nel più prestigioso degli eventi sportivi e rappresentare la causa gay in un momento e in un contesto così particolare. Infine la settima atleta gay in gara è l’austriaca Daniela IraschkoStolz. Non ha mai nascosto di essere lesbica ed è sposata con una donna, ma non vuole entrare nel terreno della polemica: “Le reazioni alla legge russa che vieta la propaganda gay mi sembrano esagerate ha detto. Sono sicura che la Russia farà i passi giusti in futuro, lasciamole tempo”. Per la prima volta a Sochi il trampolino olimpico del salto con gli sci ha aperto alle donne e IraschkoStolz è la grande favorita. Da anni eccelle nella specialità in cui, dieci anni fa, è stata la prima a volare oltre i 200 metri. Alla fine l’austriaca potrebbe strappare un oro che varrebbe la storia. Le sue parole concilianti renderebbero un poco meno amaro l’abbraccio al signor Putin.