Giancarlo Rossi è l’anima di “Sodalitas Latina”, un’associazione nata a Milano che vuole diffondere l’amore per il latino e il suo uso come lingua viva, con cui parlare di ogni argomento, dai classici al web. “Siamo contro l’uso punitivo del latino”, racconta, “di cui nelle scuole si fa un insegnamento grammaticale, astratto e scolastico. Per noi è invece una lingua viva, che si apprende parlandola. Siamo in tanti a pensarla così, in tutta Europa”. Gli amici della “Sodalitas” leggono Cicerone, ma discutono anche di internet (“internexus”), di computer (“machina ordinatoria” o “computatrum”), di facebook (“prosopobiblion”, con espressione mutuata dal greco).
Hanno iniziato, nel 1986, in tre: Giancarlo (Joannes Carolus), architetto, Claudio (Claudius), ingegnere stoico sessantottino, e Stefano (Stephanus), musicista cattolico conservatore. L’amore per la lingua latina ha superato le divisioni ideologiche e politiche e li ha portati a far crescere un gruppo che oggi è stato cooptato dal Circolo Filologico Milanese, la più antica istituzione culturale della città, nata nel 1872, un anno prima del Corriere della sera. Si ritrovano ogni due settimane nei bei saloni del Filologico e leggono e discutono Erasmo da Rotterdam (titolo delle serate: “Miscellanea interjectis Desiderii Erasmi Adagiis”). Stimati professionisti e giovani studenti si ritrovano insieme, uniti nel rivendicare – e soprattutto praticare – un uso del latino non punitivo e incartapecorito, ma divertente e intellettualmente stimolante. Diremmo “glamour” o addirittura “cool”, se l’inglese come lingua universale non fosse bandito, in quei bei saloni.
Parlando latino, non si sentono gli ultimi dei soldati giapponesi nella foresta, assediati da un mondo che parla inglese. Intanto perché ormai il mondo parla cinese e arabo, castigliano e russo. Ma anche perché sanno di essere in tanti, in tutto il mondo, con centinaia di siti web (“interrete”) in cui si comunica in latino.
C’è uno Stato e c’è un’istituzione in cui il latino è (o dovrebbe essere) la lingua ufficiale: lo Stato del Vaticano e la Chiesa cattolica. Facile allora schiacciare gli amici del latino su quella istituzione e quello Stato. Anzi, identificarli come i passatisti che non hanno capito e accettato la rivoluzione del Concilio Vaticano II che ha sostituito nella liturgia cattolica il latino con le lingue “vive ”. Che i sopravvissuti amici del latino siano dei lefevriani mascherati, tradizionalisti, nostalgici e anticonciliari? Joannes Carolus lo nega con decisione. “Io credo che la Chiesa cattolica abbia realizzato uno scambio tra liturgia e teologia: rivoluzioniamo la liturgia, mettendo in soffitta il latino, per non rinnovare la teologia, restata impermeabile alle sollecitazioni di chi tra i cattolici chiedeva la fine della compromissione della Chiesa con il potere”. Hanno fatto finta di essere diventati moderni perché non usano più il latino, lingua che i preti e i cardinali non conoscono più, mentre invece non hanno rinnovato la teologia e gli equilibri di potere.
“Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha messo al vertice della Pontificia accademia di latinità (Pontificia Academia Latinitatis) il rettore dell’università di Bologna Ivano Dionigi”, sostiene Joannes Carolus, “che è un nemico del latino e ha trasformato la rivista Latinitas in un giornale scritto in più lingue”. Imperdonabile, per un vero amico del latino.
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Il Fatto Quotidiano, 13 febbraio 2014