Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti, recita il titolo di un suo libro, e lui intelligente lo era davvero. Era così corrosivo e iconoclasta che ha finito per distruggere anche sé stesso.
Freak Antoni era il leader degli Skiantos, il gruppo bolognese di maggiore insuccesso, noto per non essere mai esploso.
Siamo nel 1977 quando la band incide i primi pezzi. Roberto Freak Antoni vive nella culla della creatività bolognese che ha, tra le espressioni più note, i fumetti di Andrea Pazienza, Radio Alice, il Gran Pavese varietà dal quale escono Patrizio Roversi, Siusy Blady, i gemelli Ruggeri e Vito. Roberto si laurea al Dams, per paradosso è cultore dei Beatles, ed è immerso nell’area del Movimento creativo dell’Autonomia, ormai una costola di post politica che fotografa la fine di ogni illusione di cambiamento. Il nostro artista deride chi vuole sparare, l’ala militarista del movimento, quella dell’attacco al cuore dello Stato, un attacco impossibile “perché lo Stato non ha cuore”.
Roberto Freak Antoni, con i suoi testi e i suoi atteggiamenti trasforma la disillusione in un anticonvenzionale manuale di sopravvivenza. A fine anni Settanta, in un concerto al Paladozza di Bologna, gli Skiantos sul palco si mettono a cucinare gli spaghetti con il tonno e il pubblico, inviperito, riversa su di loro un uragano di fischi e di insulti. Freak Antoni non si curava molto delle relazioni sociali e con i suoi “fan” aveva un rapporto “dialettico”, infatti, nel mezzo della baraonda il Leader Maximo risponde: “Questa è avanguardia, pubblico di merda”.
Un atto irripetibile, unico, non avrebbe avuto senso imitarlo, del resto “io sono uno Skianto, se decido che vengo non è detto che canto”.
Quanto ci giocasse o quanto realmente poco considerasse i suoi spettatori, non lo potremo mai sapere. In un concerto del 1993, all’Arena parco nord di Bologna, di fronte a uno che nelle prime file lo stava insultando da tempo (e senza fantasia) non ha fatto né il signore, né il professionista. “L’Attila delle buone maniere” ha fermato la musica e guardando nella direzione del suo spettatore ha risposto: “Te l’hanno mai detto che tua madre è una puttana?”
Provocatore acuto, per sfoggio di aforismi, è stato l’Oscar Wilde dei nostri giorni: “la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo”, “mangiate merda: un miliardo di mosche non si può sbagliare” o anche: “alle volte il fumo è meglio dell’arrosto”.
Per gli Skiantos uscì la definizione di rock demenziale che Freak Antoni provò a spiegare: “demenziale può somigliare a surreale ma anche a banale e a non intellettuale”, salvo precisare: “il demente non capisce la differenza tra demente e demenziale”.
Gli Skiantos hanno contribuito a inventare un gergo, uno slang che ha connotato il linguaggio giovanile (bolognese e non) del tempo: “se sleghi con la mia sbarba ti do un cartone” (se balli con la mia ragazza ti do un cazzotto) andando oltre le canzoni, divenendo un fenomeno sociale. Per quanto non politici, gli Skiantos a fine anni Settanta sono stati chiamati da Dario Fo e Franca Rame a suonare durante un’occupazione. Dove non si faceva soldi, gli Skiantos c’erano, senza negarsi mai le cantine, anguste e non, in quel sottoterra che rendeva Freak Antoni “il Messner dell’underground”.
La sua ultima apparizione è nello splendido documentario Pascoliana, dove recita, in un’apparente seriosità, alcune poesie di Giovanni Pascoli.
Non c’è ragione per cui anche Peter Pan debba invecchiare e morire. “Dio ci deve delle spiegazioni”.