Scoperta choc dei carabinieri del Noe di Lecce e del comando provinciale di Taranto: i residui "verosimilmente provenienti" dall'impianto a carbone di Cerano sepolti ai piedi degli ulivi a Manduria. L'azienda estranea ai fatti. Riflettori puntati sull’ex sindaco Pdl di Manduria, titolare dell’impresa che avrebbe nascosto gli scarti
Quando i denti dell’escavatore affondano nella terra tenera, nessuno riesce a trattenere lo stupore. “Ancora più giù”, sollecitano gli investigatori. E la pala meccanica scava. Tra gli ulivi di Manduria, nel Tarantino, vengono a galla le scorie. Sono ceneri. Anzi, sono ceneri “verosimilmente provenienti dalla centrale Enel Federico II di Cerano”. Questo dicono gli inquirenti e questo proverebbero i formulari d’identificazione dei rifiuti. Duecentododici quelli finiti sotto chiave, relativi al triennio 2009-2011 e contenenti i registri di carico e scarico, oltre che i certificati di analisi che attesterebbero la provenienza dal mega impianto a carbone a due passi dalla città di Brindisi.
Le ceneri sono state tombate lì, assieme a scarti di lavorazione del ciclo del cemento, rocce da scavo e scarificato stradale. Lì, in quasi un ettaro di terreno, sottoposto venerdì scorso a sequestro probatorio. Appartiene alla società Calcestruzzi Calò, di proprietà del 64enne Antonio Calò, tra l’altro ex sindaco di Manduria in quota Pdl, più volte vittima di attentati, come da ultimo, nell’agosto scorso, l’incendio doloso di tre autobetoniere nella stessa azienda. È lui, al momento, l’unico indagato, che dovrà difendersi dalle accuse di esercizio di discarica abusiva, gestione illecita dei rifiuti e getto pericoloso di cose. E’ alla sua attività che hanno portato le indagini, inizialmente nate in parallelo e poi incrociatesi, dei carabinieri del Noe di Lecce e del Nucleo investigativo del comando provinciale di Taranto.
A fare la prima segnalazione è stata un’associazione del posto, che ha incanalato i militari sulla pista che è sembrata rivelarsi quella giusta. E’ stato come ritrovare il bandolo della matassa, almeno uno, dell’inchiesta molto più ampia e complessa relativa allo smaltimento delle ceneri delle centrali industriali della zona, finite sotto la lente della Procura di Brindisi. A firmare il decreto di perquisizione a carico dell’azienda di Manduria e del suo titolare sono stati i pm Marco D’Agostino e Giuseppe De Nozza. Quest’ultimo ha autorizzato gli scavi che, ai piedi degli ulivi, hanno consentito di ritrovare materiale di colore blu, grigio e nero. Altri cumuli sono ancora lì, a circondare gli alberi. Erano in attesa, probabilmente, di essere interrati. Di che natura siano i rifiuti e quale sia la loro carica inquinante lo diranno le analisi che ora dovranno essere svolte, prima di procedere alla necessaria caratterizzazione e bonifica dell’area.
I prossimi approfondimenti tecnici dovranno dare anche una stima dei quantitativi abbancati illecitamente, al momento non quantificabili, ma all’apparenza ingenti. In tutti e trenta i punti in cui sono stati effettuati i saggi, infatti, sono state ritrovate le scorie, anche ad una profondità di alcuni metri. Culla impossibile per le ceneri che, per legge, sono invece riutilizzabili nel ciclo di produzione del cemento. Ecco perché, almeno in questo caso, ad essere contestato come irregolare è lo smaltimento, non la cessione del rifiuto all’azienda di calcestruzzi da parte di Enel, al momento estranea ai fatti.
Tuttavia, non è questa la prima volta che i suoi scarti finiscono dove non dovrebbero. Giusto lunedì scorso, il gup del Tribunale di Lecce, Annalisa De Benedictis, ha rinviato a giudizio 14 persone, mentre altre quattro hanno scelto il rito abbreviato. Tutte coinvolte nell’operazione Cenerentola, che nell’ottobre 2012 portò il Noe salentino, guidato dal maggiore Nicola Candido, a scoprire che 300mila tonnellate di rifiuti speciali e pericolosi, derivanti anche dalla combustione del carbone e delle biomasse, erano state tombate nelle campagne di Francavilla Fontana (Br). La provenienza sempre la stessa: centrale di Cerano, oltre che dell’Edipower. Con un risvolto, in questo caso, bizzarro: a costituirsi parte civile sono stati il Comune di Francavilla Fontana e l’associazione Italia Nostra. Nessuna traccia di Regione Puglia e Ministero dell’Ambiente.