Ieri è venuto a mancare uno dei più grandi atleti della storia dello sport italiano, Piero D’Inzeo. Otto partecipazioni olimpiche, innumerevoli vittorie internazionali, “Il” colonnello (come si faceva chiamare da tutti noi, sebbene avesse il grado di Generale), lascerà in tutti coloro che lo hanno conosciuto un vuoto incolmabile.
Per noi che abbiamo avuto la fortuna di montare a cavallo con Lui è stato molto più di un semplice istruttore, è stato un Maestro, anche nella vita.
Non dimenticherò mai le mattine che – adolescente – prima di andare a scuola andavamo riservatamente nel maneggio della Farnesina, prima che arrivasse qualcuno, per lavorare alcuni cavalli. Né quando partivamo per andare a fare concorsi in giro per l’Italia, nel periodo in cui mi aveva affidato i suoi cavalli più giovani. Non dimenticherò mai i segreti “tecnici” che ha voluto svelarmi, vincolandomi al silenzio perché non erano trucchi del mestiere, ma una filosofia di vita, di cui ti rendeva partecipe solo nei limiti in cui ti riteneva pronto e meritevole. Tutto era sport, ma nulla, al tempo stesso, lo era. Attraverso l’Arte della equitazione (parole sue) ti insegnava ad affrontare la vita, a guardare dentro le emozioni più profonde, a conoscere te stesso. Anche se di cavalli non mi sono più occupato da molti anni, molto di quel che ho fatto nella mia vita (poco o tanto che sia) lo devo a Lui.
Una persona eccezionale, con cui non tutti hanno avuto la fortuna di entrare in empatia. Una persona curiosa, che non aveva limiti nelle capacità e nella iniziativa. Un giorno, mentre “girava alla corda” un cavallo mentre io lo montavo si prese un calcio e si ruppe un braccio. Lo seppi solo il giorno dopo: non fece nemmeno una smorfia e continuò come se nulla fosse. Dovevamo finire il nostro lavoro. Mi accorsi solo che aveva poggiato a terra la frusta, e non capii il perché. Poi andò, in taxi, a farsi ingessare il braccio. Lo trovai la mattina dopo, sul presto, che imparava a guidare la nuova ruspa che era arrivata per spostare le balle di fieno: non sapeva stare fermo e non rinunciava mai ad imparare qualcosa di nuovo. Mi disse solo che quella era la sua ennesima frattura (non ricordo esattamente il numero, ma superava le 50!) e di non preoccuparmi.
Inutile prestargli il motorino sperando che, sebbene settantenne, rinunciasse (con successo) ad impennarlo quando pensava di non essere visto. Impensabile che rinunciasse ad uscire in barca, anche da solo, se il mare era troppo grosso o che non andasse ad una serata mondana. L’ho visto suonare il pianoforte, giocare a biliardo e fare tantissime altre cose, con un impegno ed una capacità da lasciarmi sempre a bocca aperto. Una persona unica.
Ci son cose, più personali, che Gli ho promesso di non dire, ma chi lo ha conosciuto sa che Piero D’Inzeo è una persona che non si può dimenticare e che cambiava la vita delle persone che avevano la fortuna di conoscerlo realmente.
Ciao Piero, ci mancherai.