Cultura

Pat Metheny, nel nuovo disco “Kin” il polistrumentista italiano Carmassi

Ispirato alla "famiglia", ma nel senso musicale di rapporti fra le note, l'ultimo lavoro del leggendario chitarrista di Kansas City. Che esplora nuovi ambiti compositivi senza rompere i legami con il suo storico "Group"

di Chiara Felice

Il concetto di base dal quale parte Metheny per il suo Pat Metheny Group – sviluppo della Unity Band formata nel 2012 e che vede l’arrivo del polistrumentista italiano Giulio Carmassi –  è racchiuso nel titolo del nuovo lavoro appena uscito per Nonesuch, “Kin (← →)”, “famiglia”. Il termine si collega, a detta dello stesso artista, al nome della band (“Unity”) e l’intento è quello di portare avanti un discorso da sempre caro a Metheny: collegare diversi elementi musicali tra di loro per creare una unità, una famiglia, estendendo il concetto di quest’ultimo all’ambito  musicale e andando a esplorare cosa lega una particolare successione di note o accordi a un’altra.

“Kin (← →)” è un ulteriore e fondamentale passo avanti nel processo creativo del chitarrista di Kansas City, ma pur essendo proiettato verso nuovi ambiti compositivi, mantiene aperti dei collegamenti con il Pat Metheny Group, formazione creata nel 1977 che tra le formidabili qualità e concezioni rivoluzionarie, vanta anche la vittoria di sette Grammy per sette dischi consecutivi.

Per un brevissimo istante l’inizio dell’album ci lascia afferrare con il pensiero l’incipit della Coltraniana “Acknowledgement. In “On Day One” della Pat Metheny Unity Band non c’è il gong che richiama l’attenzione di chi ascolta, non c’è l’ascesa mistica che pervade “A Love Supreme”, ma c’è senza ombra di dubbio un terreno comune a livello concettuale. Se da una parte Coltrane ammetteva che “la cosa principale che un musicista vorrebbe fare, sia dare all’ascoltatore un quadro delle tante cose meravigliose che conosce e sente nell’universo”; dall’altro Metheny rimarca il concetto, sottolineando l’importanza dell’autenticità – che nel suo caso comporta l’inclusione anziché l’esclusione di molti elementi – ma soprattutto quanto sia limitante portare avanti un atteggiamento purista.

Il rifiutare di mantenersi all’interno di una comfort zone è un punto di partenza imprescindibile per il chitarrista di Kansas City e “Kin (← →)” è solo l’ultimo dei suoi sorprendenti risultati, un album che rispetto ad alcuni lavori precedenti mette in secondo piano determinate complessità compositive, in favore di un respiro melodico più ampio. In “On Day One” va in scena la presentazione del gruppo, quindici minuti di incastri poliritmici e immancabili aperture “alla Metheny” che confluiscono nella conclusiva linea melodica del sax di Chris Potter, il quale apre la strada al cantato di Carmassi. Le raffinate linee melodiche tratteggiate dal sax tenore di Potter si ritagliano un ruolo di prim’ordine nella successiva “Rise Up”: brano che si apre con un crescendo della chitarra acustica di Metheny (sostenuto dai claps che rimandano alla memoria “The First Circle”), si sviluppa in tensione con l’entrata del sax soprano, per poi mutare nuovamente consistenza con il solo di Metheny prima e con quello di Potter poi; fino ad arrivare all’esplosione finale dove verrà ripreso il tema iniziale.

L’intero album non presenta un solo istante di cedimento, la tensione resta costante all’interno di un gioco caratterizzato da continui arabeschi sonori, dove i fiati emergono in tutto il loro splendore per poi inabissarsi nuovamente all’interno di composizioni nelle quali le magistrali percussioni di Antonio Sanchez creano il terreno perfetto per lo sviluppo delle trame sonore. Dalla monumentale e mozzafiato title track, allo spirito soul (con a capo sequenze elettroniche) di “We Go On”, “Kin (← →)” sembra aver tenuto fede ancora una volta all’intransigente volontà di Metheny di continuare a guardare avanti.

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