Un enorme caciocavallo bronzeo che si staglia su un cielo blu come sanno esserlo solo quelli del sud. È la copertina de “Il caciocavallo di bronzo”, primo romanzo di Peppe Voltarelli, musicista, fondatore del Parto delle Nuvole Pesanti, storico gruppo militante calabro-bolognese, che venerdì 14 febbraio alle 21 l’autore presenta alla Libreria Ubik di Bologna. Voltarelli, calabrese, sbarcò nel capoluogo emiliano alla fine degli anni Ottanta. Erano i tempi della Pantera, delle contestazioni contro la legge Ruberti, delle Posse e dell’Isola nel Kantiere. Anni di fermento che sembravano riaccendere la scintilla del Settantasette, con le occupazioni delle Università ed uno straordinario fermento artistico, culturale e musicale. Il Parto delle Nuvole Pesanti, con le sue canzoni in dialetto calabrese dal forte contenuto politico e sociale, diventò fin da subito uno dei riferimenti del movimento studentesco. Nel 2005 Voltarelli lasciò la band per dedicarsi alla carriera solista. Oggi vive tra Bologna e Firenze ed è un affermato musicista: il suo nuovo tour farà tappa a Bologna (Bravo Cafè) il prossimo 6 marzo.
Un “romanzo cantato e suonato”, come recita il sottotitolo. Di che si tratta?
Il romanzo si compone di 19 micro-racconti autobiografici (solo l’ultimo capitolo è di finzione), in un ordine temporale che va dalle scuole elementari fino ad oggi. Volevo costruire una mappa irregolare della mia terra, fuori dai prototipi, un’immagine lontana dalle cartoline, un tentativo di monumentalizzare le mie origini calabresi. Il tutto rigorosamente senza punteggiatura.
Perché ha scelto un titolo così irriverente, così poco ortodosso per un libro?
Mi divertiva creare un effetto surreale, che seducesse gli annoiati, qualcosa di artisticamente forte a ribaltare gli stereotipi. Niente di meglio di un grande monumento al formaggio, atto di memoria contadina, intriso della puzza dei treni regionali, delle improbabili traduzioni dal dialetto all’italiano, della costante paura di essere periferia. La visione che ho avuto è stata proprio quella di un’enorme installazione artistica sul lungomare deserto. E poi mi divertiva l’idea di pensare alla “calabresità” come moda, di trasformarla in trend ribaltando il clichè di una terra che cerca sempre una via di fuga. Mi fa sorridere la visione della Calabria come possibile nuovo Salento.
Il suo caciocavallo è di bronzo: terzo in classifica e non primo. E’ la metafora di un meridione che non riesce a scrollarsi di dosso un sottile sentimento di inadeguatezza?
I meridionali hanno subito secoli di dominazioni e sfruttamento. È come se ad un certo punto si fossero rassegnati all’idea. Alcuni, certo, si sono sentiti inferiori, altri sono emigrati o hanno cambiato accento camuffando le consonanti, imparando il veneto con perfezionismo svizzero in una sorta di parabola dialettale. Ecco perché ho trasformato il caciocavallo nel mirabile monumento alla rivincita del dialetto, nell’ affermazione fiera delle radici.
Quali i ricordi dei suoi primi anni bolognesi, in una città in pieno fermento, cantiere a cielo aperto di idee e innovazione?
Eravamo un collettivo di universitari fuorisede, con elementi sardi, emiliani, romagnoli, pugliesi, siculi e abruzzesi. La Calabria non era maggioranza, ma come spesso accade bastano due calabri per fare un clan. E siccome cominciammo a scrivere i testi in dialetto calabrese fummo subito identificati come ensemble calabro-bolognese. In città ad ogni angolo nascevano tante realtà in cui si mescolavano la musica tradizionale all’elettronica, il dub alla pizzica, il rap al dialetto. Poi c’erano le Posse, da Roma a Milano se ne contavano almeno una trentina, il rock dei Massimo Volume, dei Marlene Kuntz e dei Disciplinatha in cui i testi giocavano un ruolo centrale. I nostri padri erano i CSI, molto attivi anche in sede organizzativa e programmatica. Noi, da meridionali, aderimmo all’E.M.I.R., Ente musicisti italiani rilassati, per onorare il modello assistenzialista in cui eravamo cresciuti. I nostri palcoscenici erano quelli dei centri sociali, il Pellerossa, il TPO, il Livello 57: la nostra voce era la coscienza paesana all’interno del network urbano internazionalista, due universi, fortunatamente, sempre molto vicini e collaborativi.
Suona spesso all’estero: qual è l’accoglienza che viene riservata ai musicisti italiani?
Ti racconto un episodio buffo: ero in Germania, ospite di un festival dedicato alla cultura italiana. Dopo i primi brani si avvicina dal pubblico una persona, chiedendoci se eravamo veramente italiani perché quella musica non gli sembrava tale. Per convincerla abbiamo dovuto cantare alcune hit di Carosone, Jannacci e Modugno: è stato l’unico modo di riconciliarci con la serata. Questo per dire che il brand musicale italiano è molto forte all’estero, specie se si parla degli anni Sessanta e Settanta: Mina, Celentano, Dalla, Nicola di Bari. Ma anche la nostra musica popolare è molto apprezzata, dai Nidi D’Arac a Daniele Sepe, o le voci di cantautori come Giammaria Testa, Petra Magoni, Teresa De Sio, artisti che sono più defilati sulla scena musicale nostrana e che per questo organizzano buona parte delle loro tournée all’estero dove invece sono seguitissimi.
Cosa manca a Bologna oggi, cosa non ci ritrova più quando torna?
Bologna per noi meridionali era qualcosa di veramente straordinario. Era Berlino, per il clima freddo e per le radio libere, e insieme era il paese, era come stare a casa. Credo che abbia ancora quel carattere di laboratorio culturale, di zona franca, aperta al progresso e alla sperimentazioni delle arti e del linguaggio, che la comunità universitaria abbia ancora la forza di mescolarsi così come faceva vent’anni fa, a volte con irruenza, col tessuto cittadino, creando interessanti cortocircuiti. Oggi manca forse uno scossone creativo, ma non è detto. Forse c’è già e non lo riesco a percepire. Comunque lo aspetto.
Emilia Romagna
Peppe Voltarelli presenta il “Caciocavallo di bronzo”: “Sogno di sedurre gli annoiati”
Il musicista e cantautore vive tra Bologna e Firenze. Torna sotto le Due Torri per presentare il suo primo romanzo, con una dichiarazione d'amore per la città che ha segnato tutta una vita
Un enorme caciocavallo bronzeo che si staglia su un cielo blu come sanno esserlo solo quelli del sud. È la copertina de “Il caciocavallo di bronzo”, primo romanzo di Peppe Voltarelli, musicista, fondatore del Parto delle Nuvole Pesanti, storico gruppo militante calabro-bolognese, che venerdì 14 febbraio alle 21 l’autore presenta alla Libreria Ubik di Bologna. Voltarelli, calabrese, sbarcò nel capoluogo emiliano alla fine degli anni Ottanta. Erano i tempi della Pantera, delle contestazioni contro la legge Ruberti, delle Posse e dell’Isola nel Kantiere. Anni di fermento che sembravano riaccendere la scintilla del Settantasette, con le occupazioni delle Università ed uno straordinario fermento artistico, culturale e musicale. Il Parto delle Nuvole Pesanti, con le sue canzoni in dialetto calabrese dal forte contenuto politico e sociale, diventò fin da subito uno dei riferimenti del movimento studentesco. Nel 2005 Voltarelli lasciò la band per dedicarsi alla carriera solista. Oggi vive tra Bologna e Firenze ed è un affermato musicista: il suo nuovo tour farà tappa a Bologna (Bravo Cafè) il prossimo 6 marzo.
Un “romanzo cantato e suonato”, come recita il sottotitolo. Di che si tratta?
Il romanzo si compone di 19 micro-racconti autobiografici (solo l’ultimo capitolo è di finzione), in un ordine temporale che va dalle scuole elementari fino ad oggi. Volevo costruire una mappa irregolare della mia terra, fuori dai prototipi, un’immagine lontana dalle cartoline, un tentativo di monumentalizzare le mie origini calabresi. Il tutto rigorosamente senza punteggiatura.
Perché ha scelto un titolo così irriverente, così poco ortodosso per un libro?
Mi divertiva creare un effetto surreale, che seducesse gli annoiati, qualcosa di artisticamente forte a ribaltare gli stereotipi. Niente di meglio di un grande monumento al formaggio, atto di memoria contadina, intriso della puzza dei treni regionali, delle improbabili traduzioni dal dialetto all’italiano, della costante paura di essere periferia. La visione che ho avuto è stata proprio quella di un’enorme installazione artistica sul lungomare deserto. E poi mi divertiva l’idea di pensare alla “calabresità” come moda, di trasformarla in trend ribaltando il clichè di una terra che cerca sempre una via di fuga. Mi fa sorridere la visione della Calabria come possibile nuovo Salento.
Il suo caciocavallo è di bronzo: terzo in classifica e non primo. E’ la metafora di un meridione che non riesce a scrollarsi di dosso un sottile sentimento di inadeguatezza?
I meridionali hanno subito secoli di dominazioni e sfruttamento. È come se ad un certo punto si fossero rassegnati all’idea. Alcuni, certo, si sono sentiti inferiori, altri sono emigrati o hanno cambiato accento camuffando le consonanti, imparando il veneto con perfezionismo svizzero in una sorta di parabola dialettale. Ecco perché ho trasformato il caciocavallo nel mirabile monumento alla rivincita del dialetto, nell’ affermazione fiera delle radici.
Quali i ricordi dei suoi primi anni bolognesi, in una città in pieno fermento, cantiere a cielo aperto di idee e innovazione?
Eravamo un collettivo di universitari fuorisede, con elementi sardi, emiliani, romagnoli, pugliesi, siculi e abruzzesi. La Calabria non era maggioranza, ma come spesso accade bastano due calabri per fare un clan. E siccome cominciammo a scrivere i testi in dialetto calabrese fummo subito identificati come ensemble calabro-bolognese. In città ad ogni angolo nascevano tante realtà in cui si mescolavano la musica tradizionale all’elettronica, il dub alla pizzica, il rap al dialetto. Poi c’erano le Posse, da Roma a Milano se ne contavano almeno una trentina, il rock dei Massimo Volume, dei Marlene Kuntz e dei Disciplinatha in cui i testi giocavano un ruolo centrale. I nostri padri erano i CSI, molto attivi anche in sede organizzativa e programmatica. Noi, da meridionali, aderimmo all’E.M.I.R., Ente musicisti italiani rilassati, per onorare il modello assistenzialista in cui eravamo cresciuti. I nostri palcoscenici erano quelli dei centri sociali, il Pellerossa, il TPO, il Livello 57: la nostra voce era la coscienza paesana all’interno del network urbano internazionalista, due universi, fortunatamente, sempre molto vicini e collaborativi.
Suona spesso all’estero: qual è l’accoglienza che viene riservata ai musicisti italiani?
Ti racconto un episodio buffo: ero in Germania, ospite di un festival dedicato alla cultura italiana. Dopo i primi brani si avvicina dal pubblico una persona, chiedendoci se eravamo veramente italiani perché quella musica non gli sembrava tale. Per convincerla abbiamo dovuto cantare alcune hit di Carosone, Jannacci e Modugno: è stato l’unico modo di riconciliarci con la serata. Questo per dire che il brand musicale italiano è molto forte all’estero, specie se si parla degli anni Sessanta e Settanta: Mina, Celentano, Dalla, Nicola di Bari. Ma anche la nostra musica popolare è molto apprezzata, dai Nidi D’Arac a Daniele Sepe, o le voci di cantautori come Giammaria Testa, Petra Magoni, Teresa De Sio, artisti che sono più defilati sulla scena musicale nostrana e che per questo organizzano buona parte delle loro tournée all’estero dove invece sono seguitissimi.
Cosa manca a Bologna oggi, cosa non ci ritrova più quando torna?
Bologna per noi meridionali era qualcosa di veramente straordinario. Era Berlino, per il clima freddo e per le radio libere, e insieme era il paese, era come stare a casa. Credo che abbia ancora quel carattere di laboratorio culturale, di zona franca, aperta al progresso e alla sperimentazioni delle arti e del linguaggio, che la comunità universitaria abbia ancora la forza di mescolarsi così come faceva vent’anni fa, a volte con irruenza, col tessuto cittadino, creando interessanti cortocircuiti. Oggi manca forse uno scossone creativo, ma non è detto. Forse c’è già e non lo riesco a percepire. Comunque lo aspetto.
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Palermo, 9 mar. (Adnkronos) - I vigili del fuoco del Comando provinciale di Palermo resteranno per tutta la notte tra via Quintino Sella e via Gaetano Daita per tenere sotto controllo l'edificio in cui ieri mattina si è propagato un vasto incendio che ha distrutto l'appartamento all'ultimo piano dell'ex sottosegretario alla Salute, Adelfio Elio Cardinale, e della moglie, l'ex magistrato Annamaria Palma. I due sono riusciti a mettersi in salvo, tutti i residenti sono stati evacuati, un uomo di 80 anni è rimasto intossicato. "Le fiamme sono state circoscritte e non si propagano più. Sono in corso adesso le operazioni di bonifica che consistono nello smassamento della parte combusta e nello spegnimento dei focolai residui. Per tutta la notte sul posto sarà effettuato un servizio di vigilanza antincendio", ha spiegato in serata all'Adnkronos Agatino Carrolo, direttore regionale dei vigili del fuoco della Sicilia, da ieri mattina sul luogo del rogo.
"Abbiamo dovuto tagliare il tetto con le motoseghe. I miei uomini hanno lavorato a 25 metri su un piano inclinato di 30 gradi e abbiamo lavorato con la dovuta cautela. Tagliato il tetto si impedisce alle fiamme di propagarsi. Quindi rimangono da effettuare le operazioni di bonifica, di rimozione del materiale combusto e laddove ci sono dei focolai residui spegnerli. Oltre a questo si prevede di effettuare un'operazione di vigilanza antincendio ceh consiste in un presidio fisico a vigilare lo stato dei luoghi fino a quando non ci sarà più bisogno", ha detto.
E ha aggiunto: "Ci siamo trovati ad operare ad un altezza di 25 metri dal piano di calpestio. Dobbiamo spegnere un incendio importante di un tetto di circa 400 mq di falde e le fiamme sono particolarmente insidiose perché questa combustione è caratterizzata dal cosiddetto fuoco covante ossia una combustione in condizione di sotto ossigenazione che corre nello spazio di ventilazione del tetto. Quindi in superficie non si vede nulla ma ad un certo punto le fiamme affiorano dove è possibile".
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Non c’è molto da dire, se non che mi vergogno e che mi dispiace molto. Il Pd è germogliato dalle tradizioni più alte e più nobili della storia politica del Paese. Ha nel suo dna l’europeismo. Ed è di tutta evidenza che non può essere questo il nostro posizionamento". Lo scrive sui social Pina Picierno rispondendo alle proteste sui social per il post del Pd sulla questione del piano di Difesa Ue in cui si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Matteo Salvini.
"Mi vergogno, infatti. E sono allibita", aggiunge la vice presidente del Parlamento europeo.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "Ma vi siete bevuti il cervello Elly Schlein? Vi mettete a scimiottare Salvini. I riformisti sono vivi? Hanno qualcosa da dire? Paolo Gentiloni, Lorenzo Guerini certificate la vostra esistenza in vita al netto di Pina Picierno e Filippo Sensi". Lo scrive sui social Carlo Calenda, rilanciando un post del Partito democratico sulla questione del piano di Difesa Ue in cui tra l'altro si legge 'bravo Matteo' a proposito delle posizioni di Salvini.
Roma, 8 mar (Adnkronos) - "In Italia si aggira un tizio - si chiama Andrea Stroppa - che rappresenta gli interessi miliardari e le intrusioni pericolose di Elon Musk. Dopo avere espresso avvertimenti vagamente minatori e interferito sull’attività di governo, questo Stroppa ha insultato due giornalisti, Fabrizio Roncone e la moglie Federica Serra, con il metodo tipico dell’intimidazione". Lo dice il senatore del Pd Walter Verini.
"Esprimiamo solidarietà ai due giornalisti. E ci chiediamo anche cosa aspetti Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio di questo Paese, a far sentire la sua voce contro queste ingerenze, questi attacchi, questi tentativi di intimidazione a giornalisti e giornali”, aggiunge il capogruppo Pd in Antimafia.
Roma, 8 mr (Adnkronos) - "Mentre il dibattito politico italiano viene inevitabilmente attratto dalla demagogia, da Trump arriva un’altra sberla: l’ipotesi del ritiro di 35.000 soldati americani dalla Germania. Si va di cigno nero in cigno nero, ma tutto questo sembra non ridestare dalla bolla della politica politicante il governo". Lo scrive sui social il senatore Enrico Borghi, vicepresidente di Italia Viva.
"Oggi il Capitano ha animato i suoi gazebo nei fatti contro la linea della Premier e dell’altro Vicepremier (che dovrebbe essere il Ministro degli Esteri). Di fronte a questi scenari, serve un soprassalto di responsabilità. Oggi - aggiunge Borghi - di fronte agli sviluppi della guerra in Ucraina e alla svolta anti-Nato di Trump sono in gioco le nostre libertà democratiche: questo è il tema chiave di questi anni".
Washington, 8 mar. (Adnkronos) - E' stata eseguita tramite fucilazione la condanna a morte di Brad Keith Sigmon, che aveva scelto il plotone di esecuzione alla sedia elettrica e all'iniezione letale, i metodi adottati dalla South Carolina per le pene capitali. La Corte Suprema dello Stato aveva rifiutato l'ultima richiesta di sospensione dell'esecuzione, la prima tramite fucilazione eseguita negli Stati Uniti in 15 anni.
Il legale dell'uomo, condannato a morte per l'omicidio dei genitori della sua ex fidanzata con una mazza da baseball, ha spiegato al Washington Post che il suo assistito ha scelto il plotone di esecuzione perché "ha paura" ed è preoccupato per le possibili sofferenze provocate dall'iniezione letale, il cui procedimento, ha aggiunto il legale, viene "tenuto segreto".
Secondo quanto riferiscono i media americani, un plotone di esecuzione di tre agenti ha sparato all'uomo da una distanza di circa 4,6 metri all'interno del Broad River Correctional Institution nella capitale dello stato Columbia.
I giornalisti che hanno assistito all'esecuzione da dietro un vetro antiproiettile hanno affermato che Sigmon indossava una tuta nera con un piccolo bersaglio rosso fatto di carta o stoffa sul cuore. In una dichiarazione finale letta dal suo avvocato, Gerald King, Sigmon ha dichiarato di voler inviare un messaggio di "amore e un invito ai miei fratelli cristiani ad aiutarci a mettere fine alla pena di morte".
Al condannato è stato quindi messo in testa un cappuccio e circa due minuti dopo il plotone di esecuzione, composto da volontari del South Carolina Department of Corrections, ha sparato attraverso fessure in un muro.
Da quando è stata reintrodotta la pena di morte negli Usa nel 1976 sono state eseguite solo tre condanne a morte per fucilazione, tutte nello Utah, nel 1977, nel 1996 e nel 2000.
Roma, 8 mar. (Adnkronos) - “Il risultato record raggiunto con il 2x1000 per il 2024 consente al Partito democratico un investimento straordinario sui territori: questa settimana abbiamo inviato oltre un milione di euro alle nostre articolazioni regionali e provinciali, che si somma alle 440.000 euro già anticipate. Si tratta solo del 70% di quanto pattuito, in quanto lo Stato non ha ancora trasferito l’intero 2x1000 spettante ai partiti politici. Ma noi invieremo comunque entro marzo il restante 30%, superando in totale i 2 milioni di euro relativi al solo 2024. Se sommiamo queste risorse al mezzo milione di euro trasferito lo scorso anno, possiamo calcolare che, in questi due anni di segreteria, il Pd nazionale ha trasferito ai territori più del doppio delle risorse trasferite negli otto anni precedenti sommati insieme, cioè dalla fine del finanziamento pubblico al 2022". Lo sottolinea il tesoriere del Pd, Michele Fina.
"Oggi -aggiunge- possiamo farlo perché sta arrivando a compimento una grande opera di risanamento del nostro bilancio, ma soprattutto perché abbiamo fatto fin dall’inizio una scelta precisa: investire per sostenere la partecipazione, l'attività politica e, in ultima istanza, la democrazia nel Paese. Abbiamo unito tutti i livelli del partito in un unico sforzo corale. Per questo nel 2024 siamo risultati il primo partito in assoluto con 10.286.000 circa di risorse, con una crescita di 3 milioni in due anni e ben 628.000 contribuenti che ci hanno scelto. È il dato più alto della nostra storia”.
“In un tempo in cui -le democrazie liberali sono messe in discussione dalla prepotenza finanziaria di plurimiliardari stranieri e dalla forza economica delle big tech, il Partito democratico -aggiunge la segretaria Elly Schlein- riparte dai territori, dal coinvolgimento della base, dal riacquisto e riapertura delle sedi, dalla formazione politica".