“…Così io, non mi potendo mettere a fare il bellimbusto come costuma in questi anni smammolati, sono deciso a riuscir scellerato, in odio a questa stagione troppo allegra…”, diceva,  parlando della sua deformità e legittimando con essa la sua sete di potere, il Riccardo III di Shakespeare, duca di Gloucester, in aspettativa di trono. Non è certo sull’impossibilità di fare il bellimbusto che viene da accostare il futuro premier con la camicia bianca, che troneggia tronfio sulla copertina di Vanity Fair allo storpio Riccardo; eppure, in barba alle apparenze, due caratteristiche permettono di accostare queste due figure apparentemente così lontane.

Il primo tratto comune è la fretta: Riccardo non contempla l’attesa, le sue macchinazioni devono tramutarsi immediatamente in azione; non c’è tempo per lasciar decantare i progetti, i tempi vanno corsi, anche a costo di precorli. Matteo, ribattezzato piè veloce, ha fatto della velocità il suo e il nostro tormentone: non importa come e perché, la domanda fondamentale è “in quanto tempo”. Un grosso fraintendimento sembra sottendere al mantra renziano del cambiare verso: la politica non va bonificata contenutisticamente, l’importante è battere tutti i record olimpionici della rapidità politica e fare, tutto e il contrario di tutto, purché si faccia.

La rapidità ha oltretutto il vantaggio secondario di stordire gli interlocutori: le parole e gli intenti si perdono nel vento della corsa e la fretta di concretizzare incarna l’alibi ottimale per giustificare qualsiasi voltafaccia. L’eco del “Mai senza elezioni” e “Mai più larghe intese” si è già spento qualche chilometro più in là e a nessuno resta il tempo per fargli notare la sua incoerenza, tale è la paura di perdere il passo, di restare indietro e di essere fatto fuori dalla maratona. Perché qui funziona così, chi non corre perde la poltrona: ed eccolo, subito, l’ansante corteo democratico che ha infilato in fretta e furia le scarpe da ginnastica, ha dato qualche gomitata a chi gli rallentava il passo e ha cominciato la vorticosa marcia dietro all’ex-sindaco maratoneta.

Del resto Forrest Renzi ipotizza di continuare la sua corsa nel galoppatoio del Parlamento fino al 2018 e dunque le cozze delle poltrone galoppano dopate dall’entusiasmo di altri quattro anni di euro e privilegi.

La seconda qualità che accomuna Riccardo e Matteo è l’abilità linguistica, la capacità affabulatoria con la quale completano l’operazione di stordimento del circondario. “Ci fu mai donna corteggiata in quello stato d’animo? Ci fu mai donna conquistata in quello stato d’animo? La farò mia ma non la terrò a lungo”, dice Riccardo dopo aver raggirato Lady Anna, vedova di un uomo da lui stesso assassinato e, per necessità politiche, sua futura moglie, con il solo potere ipnotico della parola.

Ed ecco Renzi che a suon di hashtag come #Enricostaisereno #cambiaverso e #chipiùnehapiùnemetta diventa il portavoce della generazione dei tweet, dei nativi digitali, dei contenuti che valgono il tempo di scomparire dalla schermata.

Come Riccardo seduceva con un eloquio raffinato, complesso, talvolta ridondante, Matteo, seguendo la metamorfosi ritmica del linguaggio contemporaneo ed autoeleggendosi a portavoce della modernità, seduce con lo slogan, con lo spot, con la brevità di una frase che fa breccia senza significare, una platea, che nel terrore di sentirsi fuori-tempo, applaude all’assenza di ragionamento complesso e all’incoerenza politica.

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