Dal rapporto sulla burocrazia stilato dagli industriali emerge che lo stipendio da deputato, nel 2012, era 4,7 volte il pil pro-capite. Adesso è schizzato a 9,8, contro 6,6 dei colleghi inglesi. Ma a frenare lo sviluppo è anche il cattivo funzionamento della macchina amministrativa
La politica costa 2,5 miliardi l’anno, ma con una sforbiciata netta si potrebbe subito risparmiare un miliardo di euro. A dirlo è un’analisi del Centro studi di Confindustria sulla burocrazia. Scendendo nel dettaglio, nel 2012 lo stipendio da deputato in Italia – riporta la ricerca – era pari a 4,7 volte il pil pro-capite, contro l’1,8 del Regno Unito. Contando anche i rimborsi spese (con e senza documentazione), i contributi ai gruppi parlamentari, i rimborsi elettorali e le spese di trasporto tale rapporto sale al 9,8 per il deputato italiano e al 6,6 per quello inglese. I costi della politica, intesa come organi legislativi ed elettivi – indica lo studio -, hanno toccato complessivamente i 2,5 miliardi di euro nel 2012. “Si può risparmiare fino a 1 miliardo riducendo del 30% l’indennità dei parlamentari, ridimensionandone il numero, riformando le loro pensioni e abolendo i contributi ai gruppi parlamentari, i rimborsi elettorali e le spese di trasporto ma mantenendo la diaria (rimborso spese per l’esercizio del mandato parlamentare), oppure eliminandola e introducendo un tetto massimo alle spese rimborsabili”.
“I costi della politica – prosegue il centro studi di Confindustria – ovviamente non si esauriscono con la remunerazione dei rappresentanti parlamentari e con il costo di funzionamento delle due Camere, ma ricomprendono anche tutte le altre istituzioni elettive (Comuni, Regioni, dando per abolite le Province) nonché quelle attività improprie svolte da una moltitudine di società partecipate dalla pubblica amministrazione (sono più di 7.700 e costano, in termini di ripiano delle perdite, circa 22 miliardi). E i cerchi del vivere di politica (anziché per la politica) si ampliano ulteriormente se si includono consulenze e assunzioni clientelari che pesano sui bilanci delle società pubbliche”.
Dal rapporto emerge anche quanto il malfunzionamento della pubblica amministrazione pesi sul Pil. Basterebbe ridurre dell’1% l’inefficienza della Pa per far crescere il prodotto interno lordo dello 0,9% e dell’occupazione dello 0,2%. Il fermo immagine di Confindustria immortala un paese sistematicamente destinato a rincorre i partner internazionali. A incidere maggiormente in maniera negativa sullo sviluppo – secondo gli industriali – è il contesto amministrativo in cui operano le imprese, che riduce gli investimenti (non solo dall’estero) e la capacità del Paese di crescere. Una pubblica amministrazione più efficiente imprimerebbe una svolta decisiva sulla crescita dell’Italia. Ecco perché, osserva il Csc, occorre sciogliere i nodi della burocrazia: troppe e complesse regole, tempi di risposta lunghi e incerti, costi insostenibili della macchina pubblica, anche della politica, imbrigliano lo sviluppo, soprattutto delle aziende più dinamiche.