Alle donne nate pochi anni prima o dopo la legge 194/78, che in Italia disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza, la parola aborto non richiama alla mente infusi di prezzemolo, ferri da calza, spilloni, cucchiaini, stampelle, voli dalle scale o dalle finestre. Quelli li conoscevano bene le donne venute prima.
Le più giovani conoscono, però, i no in pronto soccorso alla richiesta della pillola del giorno dopo – solo da questo mese riconosciuta anche nel nostro Paese contraccettivo d’emergenza, e non farmaco abortivo, in linea con quanto stabilito dall’Organizzazione mondiale della Sanità – e hanno esperienza di farmacie che rifiutano di venderla perché, pur non potendo, si appellano all‘obiezione di coscienza. Sanno dei pellegrinaggi da un ospedale all’altro, da una regione all’altra, perché, nonostante il diritto all’obiezione sia ammesso per i singoli e non per le strutture ospedaliere, in molti casi non ci sono ginecologi disposti a praticare l’Ivg. Chi può permetterselo conosce le cliniche private, altre si arrangiano con soluzioni saline e dosi massicce di Cytotec, un gastroprotettore che provoca contrazioni uterine. Al più con i viaggi a Londra, che non sono mai passati di moda.
Eppure ogni anno il Ministero della Salute, nella sua relazione annuale sullo stato di attuazione della legge, ci assicura che va tutto a gonfie vele. Anche se, secondo l’ultima, nel 2011 obiettavano circa sette ginecologi su dieci. Anche se, nel Lazio, secondo i dati della Laiga (associazione dei ginecologi per l’applicazione della 194), nel 2012 l’obiezione di coscienza tra i ginecologi ospedalieri ha raggiunto il 91,3% e in due strutture sanitarie universitarie, che secondo la legge hanno anche il compito di formare i nuovi ginecologi, non si praticavano aborti.
La ministra uscente Beatrice Lorenzin aveva promesso dati su come le regioni garantiscono l’applicazione della legge nonostante l’obiezione e un tavolo tecnico per verificare eventuali discriminazioni nei confronti dei non obiettori. Ma il partito trasversale dei no choice può stare sereno: dei dati e del tavolo non abbiamo mai avuto notizia, prima o poi i pochi non obiettori che tengono in piedi la legge andranno in pensione e norme già in buona parte disapplicate diventeranno probabilmente lettera morta.
Per questo abbiamo lanciato la campagna Mai più clandestine, che nel Lazio ha come prima iniziativa un appello al presidente della regione Nicola Zingaretti, affinché garantisca la piena applicazione della 194, anche attraverso “forme di mobilità del personale e di reclutamento differenziato” per “riequilibrare il numero degli obiettori e dei non obiettori”, come raccomandato dal Comitato nazionale per la bioetica.
Per evitare, finché si è in tempo, che la 194 diventi inapplicabile, consegnando, di nuovo, ogni donna che voglia abortire alla clandestinità e al rischio di morire. Per ribadire – con iniziative in rete, sui territori, nei consultori, negli ospedali, nelle piazze – che se l’obiezione dei singoli è un diritto, quella degli ospedali è fuorilegge.