Nervi sempre più tesi dopo che il cancelliere dello scacchiere George Osborne ha negato alla Scozia la possibilità di mantenere la moneta inglese in caso di indipendenza. La paura principale dei britannici del sud è che, appunto, si possa ripetere in scala isolana quello che sta succedendo a livello europeo, con tutte le turbolenze della moneta unica comunitaria
“Vogliamo continuare a tenere la vostra moneta e, se non ce la concedete, non ci facciamo carico della nostra quota di debito pubblico”, dicono ora gli scozzesi. “Assolutamente no, non vogliamo una unione monetaria senza una politica federale, volete che facciamo la fine dell’Eurozona?”, dicono gli inglesi.
Si giocherà soprattutto sul versante finanziario la lotta delle prossime settimane fra Londra ed Edimburgo. La Scozia, come noto, voterà per l’indipendenza a settembre. Per ora pare prevalere il fronte dei “no”, ma il battaglione dell’autonomia dal resto del Regno Unito cresce di giorno in giorno. Il primo ministro scozzese Alex Salmond, del resto, ha stupito più di una volta in cabina elettorale. Così, ora, nervi sempre più tesi a Londra, dopo che il cancelliere dello scacchiere (ministro del Tesoro) George Osborne ha negato al governo scozzese la possibilità di mantenere la sterlina in caso di indipendenza. La paura principale dei britannici del sud è che, appunto, si possa ripetere in scala isolana quello che sta succedendo a livello europeo, con tutte le turbolenze della moneta unica comunitaria. Però gli scozzesi ribattono piccati e ipotizzano il rifiuto di accollarsi quei 146 miliardi di quota “nordica” del debito del Regno Unito.
Il calcolo, fatto dal National institute of economic and social research, porta anche a una considerazione: il rapporto fra debito pubblico “ereditato” e Pil in una Scozia indipendente sarebbe dell’80%. Troppo e troppo pericoloso per una stabilità finanziaria di un nuovo Stato. Così, ecco la mossa di Salmond, che annuncia la possibilità di sganciarsi anche dalla quota di debito. Di scritto, tuttavia, c’è ancora ben poco, si tratta soprattutto di annunci televisivi e ai comizi. Però la minaccia dimostra una guerra di tensione fra Londra e Edimburgo che, molto probabilmente, come scrive anche il Financial Times, sarà la vera prova di questa lotta per l’indipendenza.
Lo stesso giornale sottolinea l’ambiguità di Salmond. Se a fine anni Novanta voleva una Scozia nell’euro, ora ecco arrivare la richiesta di mantenere la sterlina. Richiesta negata e che, dicono gli analisti, potrebbe anche portare l’area più a nord del Regno Unito a pratiche non proprio “eleganti”, come inventare una valuta dal nulla, oppure, ancora peggio, continuare a usare la sterlina informalmente, imitando – scrive il Financial Times – Panama e il suo uso appunto “informale” del dollaro statunitense.
Una unione monetaria con il resto del Regno Unito vorrebbe dire, del resto, una unica banca centrale. Cosa che non va a genio a Londra e dintorni, dove si è sempre stati critici sull’esperienza europea e sui travagli dell’euro. Intanto, a Edimburgo e a Glasgow, si teme che la finanza – anche in Scozia esiste, ed è anche forte – possa emigrare più a sud, a Londra, per la paura dell’eventuale collasso di una Scozia messa in grado di correre sulle proprie gambe. Le campagne per il “sì” e per il “no” proseguono spedite, con il primo ministro britannico David Cameron che è quasi arrivato a implorare gli scozzesi, dicendo loro di riflettere bene prima di votare.
Ma c’è un limite ben conosciuto nei palazzi del potere londinesi: una eventuale ingerenza troppo forte da parte della capitale potrebbe portare molti più abitanti del nord a scegliere per una Scozia indipendente. E il regno, che è appunto “unito”, inizierebbe a sfaldarsi lentamente, con il Galles che potrebbe cominciare a rivendicare la propria autonomia e con la ritrovata forza di molti altri movimenti indipendentisti. Ne esiste uno persino in Cornovaglia, placida terra di villaggi di pescatori e di giardini fioriti. Inghilterra che più Inghilterra non si può, ma non per questo priva di proprie rivendicazioni.