Il fisco italiano è iniquo e penalizzante verso lavoro e imprese. L’effetto delle detrazioni fa sì che le aliquote marginali effettive siano solo due. Una proposta per una riforma che incentivi la partecipazione alla forza lavoro.
di Nicola Borri, Salvatore Nisticò, Giuseppe Ragusa e Pietro Reichlin (Fonte: lavoce.info)
Le aliquote effettive
Il nostro sistema fiscale non è solo oppressivo e particolarmente penalizzante nei confronti del lavoro e delle imprese, ma è anche inefficiente e iniquo.
Una misura dell’inefficienza è rappresentata dall’andamento delle aliquote marginali Irpef al variare del reddito, cioè l’imposta pagata su ogni euro aggiuntivo di reddito. Il caso dei lavoratori dipendenti è emblematico: sebbene il sistema impositivo si componga di cinque aliquote nominali – 23, 27, 38, 41 e 43 per cento –, l’effetto delle detrazioni fa sì che le aliquote marginali effettive siano solamente due.
Come si può verificare nella figura 1, l’aliquota marginale effettiva, con detrazioni decrescenti al crescere dell’imponibile, sale al 30 per cento appena superata la no-tax area di 8mila euro; rimane a questo livello fino a 28mila euro, e si assesta tra il 41 e il 43 per cento per redditi superiori.
Un lavoratore dipendente che guadagna 8mila euro lordi, e che ha l’opportunità di incrementare lo sforzo lavorativo con un extra reddito lordo di mille euro, vede remunerato solo il 70 per cento del lavoro aggiuntivo, percependo, al netto delle imposte, 700 euro in più.
Figura 1
Un tale sistema di aliquote marginali distorce le scelte individuali di partecipazione alla forza lavoro, specie per redditi imponibili fra 8 e 15mila euro, uno scaglione in cui si colloca circa il 20 per cento dei contribuenti. Un’aliquota marginale al 30 per cento per questi redditi rappresenta un caso anomalo nel panorama internazionale e contribuisce ad alimentare il sommerso e l’erosione della forza lavoro , il cui aumento dovrebbe costituire un obiettivo primario per l’Italia.
Il sistema tedesco, ad esempio, evita distorsioni di questo tipo attraverso aliquote nominali progressivamente crescenti, in modo continuo, da un minimo del 14,28 per cento a un massimo del 42 per cento per la fascia di reddito tra 8.355 e 52.882 euro, con un ulteriore aumento al 45 per cento per i redditi sopra i 250mila euro circa.
L’effetto delle detrazioni
Senza ricorrere alla complessità del modello tedesco, è possibile rendere il profilo delle aliquote marginali effettive più graduale – aumentando così l’efficienza, la progressività e l’equità del sistema fiscale – con un intervento sulle detrazioni e, possibilmente, anche sulle aliquote nominali.
La figura 2 descrive l’andamento delle detrazioni da lavoro dipendente all’aumentare del reddito. Da 8mila euro di reddito imponibile, le detrazioni diminuiscono fino a azzerarsi per i redditi pari a 55mila euro. La diminuzione delle detrazioni non è tuttavia costante, ma è più rapida per i redditi compresi tra 8 e 15mila euro. Questa struttura trasforma il sistema di cinque aliquote nominali in uno a due sole aliquote effettive, diminuendone quindi la progressività.
Figura 2
La figura 3 mostra l’aliquota media, cioè il rapporto tra imposte dovute e reddito imponibile. In un sistema con buona progressività, l’aliquota media dovrebbe aumentare più lentamente per i redditi bassi. Il contrario di quanto avviene nel nostro sistema, dove la curva dell’aliquota media ha una pendenza molta accentuata proprio per i redditi tra gli 8 e i 15mila euro.
Figura 3
Un intervento limitato alla revisione delle detrazioni per i soli lavoratori dipendenti potrebbe già migliorare la situazione.
La proposta
La nostra proposta è di mantenere a 8mila euro la soglia sotto la quale le detrazioni spettanti azzerano il debito d’imposta e istituire una detrazione fissa (indipendente dal reddito) di 1.840 euro per redditi imponibili compresi tra 8 e 15mila euro. Oltre questa soglia, le detrazioni si ridurrebbero linearmente, fino a essere pari a zero per i redditi oltre i 55mila euro (come descritto in figura 4). Il costo stimato è di circa 5 miliardi.
Figura 4
L’effetto principale della riforma, descritto in figura 5, sarebbe quello di ridurre drasticamente l’aliquota marginale effettiva sui redditi da 8mila a 15mila euro: di ben sette punti percentuali, dal 30 al 23 per cento; mentre le marginali successive rimarrebbero sostanzialmente invariate.
Figura 5
Le aliquote medie (figura 6) si ridurrebbero per gli scaglioni compresi tra 8 e 55mila euro, ma in modo più consistente per i redditi prossimi a 15mila euro. Il risparmio fiscale per un lavoratore dipendente con un reddito imponibile di 15mila euro sarebbe di 450 euro. Il risparmio d’imposta coinvolgerebbe circa il 95 per cento dei contribuenti con redditi da lavoro dipendente compresi tra 8 e 55mila euro.
Figura 6
L’idea di limitare la platea dei contribuenti che beneficerebbero della riforma ai soli dipendenti attivi non è motivata soltanto dalla necessità di contenere il costo della manovra. Uno degli obiettivi della proposta è di incentivare la partecipazione alla forza lavoro. Non sarebbe pertanto logico coinvolgere i pensionati, mentre per i lavoratori autonomi con redditi bassi sarebbero più opportune misure di stimolo all’attività d’impresa come la riduzione dell’Irap.
La riforma della struttura delle detrazioni non può tuttavia risolvere un’altra anomalia del nostro sistema, cioè il brusco incremento dell’aliquota nominale dal 27 al 38 per cento (ben 11 punti percentuali) a partire dai 28mila euro. Per risolverla, si potrebbe abbassare l’aliquota nominale intermedia dal 38 al 35 per cento, con un costo da noi stimato in circa 2 miliardi. In questo modo, non si avrebbe solo una diminuzione delle imposte per tutti i contribuenti che dichiarano più di 28mila euro, ma si otterrebbe anche un profilo crescente delle aliquote marginali (che nel sistema vigente, come nel caso della sola revisione delle detrazioni, subiscono un calo per i redditi compresi tra i 55 e i 75mila euro). L’effetto è mostrato chiaramente in figura 7.
Figura 7
Mettere in cantiere una riduzione d’imposte pari a 7 miliardi non è facile, visti i vincoli sulla finanza pubblica. Prendendo per buona la promessa del Governo di impegnarsi in una massiccia riduzione della spesa, non è reato iniziare a discutere di quale sia il modo migliore per ridurre la pressione fiscale che grava sul lavoro.
Bio degli autori
Nicola Borri E’ ricercatore della Luiss Guido Carli dal 2009. Dopo laurea e master in Economia Politica all’Università Bocconi, ha conseguito il PhD in Economics presso la Boston University. Le sue principali aree di ricerca sono asset pricing e finanza internazionale. Il suo paper Sovereign Risk Premia (con Adrien Verdelhan) ha vinto il premio come miglior paper del ABI Country Risk Forum e il 2010 WRDS Best Paper Award della European Financial Management Association.
Salvatore Nisticò E’ Professore Associato di Economia Politica (settore scientifico-disciplinare SECS-P/01) presso il Dipartimento di Analisi Economiche e Sociali, Università di Roma “La Sapienza”. Attualmente è titolare dei corsi di “Economia Politica” e “Moneta e Finanza Internazionale” presso la Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione.
Giuseppe Ragusa E’ assistant professor nel Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali presso la LUISS Guido Carli di Roma.
Pietro Reichlin Si è laureato in scienze statistiche presso l’università “La Sapienza” di Roma e ha conseguito il Ph.D presso la Columbia University. Attualmente è professore ordinario all’Università Luiss di Roma. I suoi principali campi di ricerca sono i mercati finanziari, il business cycle e i contratti con informazione asimmetrica.