Fonti vicine al neo premier affermano che il Pd sarebbe pronto a lasciar scadere cinque provvedimenti fermi in Parlamento, tra cui quello sui soldi pubblici. "Ne faremo un altro". Ma intanto rimane in vigore il vecchio sistema
La voce arriva da fonti Pd prossime al segretario Matteo Renzi e riguarda i cinque decreti legge in scadenza (entro fine mese) tra Camera e Senato. “Per noi – spiega la voce – i decreti possono decadere tutti o quasi, a partire dal finanziamento pubblico. Su questo tema probabilmente ne faremo un altro. E lo faremo anche se sarà un problema per il Pd, che ha ancora una struttura costosa: Matteo Renzi è convinto che bisogna tagliare di più e fin dal 2014”. Il decreto sull’abolizione del finanziamento dei partiti passerà all’esame dell’Aula mercoledì 19 febbraio. Martedì il dl approderà invece alla Commissione Affari Costituzionali.
Effettivamente, come avvisò a inizio mese la presidente della Camera Laura Boldrini, nelle aule parlamentari a febbraio si correva il rischio di un “imbuto” per i troppi decreti del governo Letta in scadenza. La crisi politica, con l’avvicendamento del premier, ha contribuito ad aggravare la situazione come conferma Francesco Sanna, deputato lettiano prestato al governo uscente come Consigliere per i rapporti politici e territoriali: “Con ogni probabilità – spiega – governo e capigruppo dovranno scegliere vista la difficoltà di approvarli tutti e cinque”. Anche perché, constata con una certa ironia, il governo “non può certo chiedere la fiducia sui provvedimenti” avviando un iter parlamentare più veloce. Ragion per cui i tempi potrebbero allungarsi per il milleproroghe come per il dl enti locali (quello che contiene il prezioso “Salva Roma 2”), lo svuota carceri, il destinazione Italia e, per l’appunto, il finanziamento pubblico ai partiti. Sanna, che non può confermare quanto dichiarato dalla fonte renziana, osserva che sarebbe comunque difficile riproporre con decreto legge quanto già deciso con un altro decreto legge.
Anche più diretto Ugo Sposetti, tesoriere Ds esperto del ramo, da sempre contrario all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti e attualmente in commissione Bilancio al Senato: “Se lo tolgono, non lo rifanno più”. La scelta, del resto, avrebbe un antefatto. L’altra sera, in commissioni Affari costituzionali di Palazzo Madama dove il provvedimento del governo Letta era approdato, il senatore Pd Giorgio Pagliari aveva provato a recuperare con un emendamento i rimborsi relativi alle europee e alle regionali (45 milioni di euro nel triennio), ma aveva trovato l’opposizione del Nuovo centrodestra e, dopo un passaggio al Nazareno, aveva dovuto fare macchina indietro.
I partiti maggiori che ricevono quei rimborsi (Pd e Fi, i Cinque stelle vi hanno rinunciato a inizio legislatura) avranno nei bilanci due “buchi” da 15 milioni circa ciascuno (assieme però ad una cassa integrazione agevolata per i dipendenti in esubero). Per questa ragione, forse, meglio far saltare il banco con la decadenza del decreto. Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio di Montecitorio, Pd anche lui, crede che il Parlamento possa riuscire a portare a casa tutti i provvedimenti in scadenza. Soprattutto quello sul finanziamento pubblico ai partiti, già arenatosi una volta al Senato e rimesso in gioco da Letta attraverso il decreto in scadenza il 26 febbraio. “Non voglio commentare voci, ma non è meglio tagliare cinquanta che tagliare zero?”. Vedremo. Per adesso la confusione generata nelle aule parlamentari dalla crisi di governo, potrebbe favorire chi vuole far saltare il banco e tenersi per intero i 91 milioni annui del finanziamento pubblico.
Di Eduardo Di Blasi e Marco Palombi
Da Il Fatto Quotidiano del 17 febbraio 2014
Aggiornato dalla Redazione web il 17 febbraio alle 21.35