Chi di voi batte il territorio romano sarà magari incappato in un progetto valido, di quelli su cui secondo me varrebbe la pena scommettere qualche soldo vedendone tornare indietro, probabilmente, molti altri: parlo di Emanuele Galoni, cantautore e musicista, figlio della provincia della provincia laziale. Uscito nel 2011 con il primo “Greenwich”, che tra armoniche e metafore calcistiche mi aveva letteralmente fatto perdere la testa, il ‘nostro’ torna ora con il nuovo “Troppo Bassi Per I Podi” il prossimo 20 Marzo per 29 Records: l’album, che ho avuto il privilegio (è il caso di dirlo) di ascoltare in anteprima, segna uno spartiacque importante e ridisegna secondo me verso l’alto il concetto stesso di “musica emergente” (o nuova o indipendente che dir si voglia), ponendoci di fronte al quesito, irrimandabile, per cui il problema non è forse ciò che (purtroppo) conosciamo e intasa le tv e le radio italiane, quanto piuttosto quel novero di artisti che non certo per colpa loro rischiamo di lasciarci dietro.
E nel caso di Galoni il peccato è quasi capitale: la sua è una proposta genuina, limpida, ruspante e quando si è all’ascolto dei suoi pezzi si ha la sensazione (almeno così è stato per me) di entrare in una favela brasiliana e veder palleggiare allegro il nuovo Ronaldo, tanto per rimanere in tema. “Troppo Bassi Per I Podi” è nient’altro che 11 canzoni d’autore nel senso più nobile del termine: dall’incedere quasi gotyano (ma con più contenuto) della prima “Spara Sui Treni”, alla semplicità disarmante della seguente “Per Vederti Partire”, che contiene al suo interno un paio di combo retoriche che farebbero vacillare anche il più abile dei diffidenti: “La matematica è opinione da quando ti ho intravisto, oltrepassare queste nuvole cariche di piscio […] Tu metterai antigelo agli occhi ed io un plantare sotto al cuore, per appoggiarlo meglio sulla lunghezza delle ore”.
Carta da Parati, che del disco è il primo singolo estratto, è un brano talmente bello che il vero e unico rimpianto è non averla in rotazione anche nei supermercati. Una dolcezza ed una sapienza nell’uso della lingua che fa il paio con un’analisi cruenta quanto dettagliata della realtà infame che viviamo, in un’Italia vittima del catenaccio pronta a mettere all’angolo lo Zeman di turno, che pure avrebbe la ricetta giusta per ripartire. E quando lo sconforto dettato dal realismo lascia spazio naturalmente al “sentire pancistico”, ecco emergere altre perle grezze come “Il Migliore dei Cecchini” o “Nobel”, che del disco rappresenta la chiusura: con la solita ormai assodata sincerità, con lo stesso inaspettato stupore di 45 minuti di musica da incorniciare e tramandare a chi vogliamo veramente bene.
Io, se non sarò riuscito a smuovere la vostra curiosità, avrò senz’altro trovato un regalo da farmi giusto in tempo per il mio compleanno: consapevole che se non sempre vale la pena spendere soldi per l’acquisto di un disco, specie al giorno d’oggi, questo caso fa evidentemente eccezione. Non conosco Galoni se non per interposta persona, non ci ho mai preso una birra e non avrò fatto altro che, in via del tutto estemporanea, prestargli un po’ del mio tabacco: questo per avvalorare ulteriormente uno slancio personale che non vuole arrivare in nessun’altra direzione se non quella della condivisione di cotanta bellezza artistica. Per migliorare questo paese e regalargli una narrazione musicale all’altezza (se non superiore) del futuro che vorremmo ‘abitare’ basterebbe, magari, un po’ di sano altruismo.
Think about it, save the date: 20 Marzo 2014.