Agata Balsamo aveva sostituito il marito detenuto al 41bis per tre omicidi. Il gip: “Tutti si rimettevano al suo giudizio, senza mai metterlo in discussione”
Aveva autorevolezza, capacità decisionale e carisma. Agata Balsamo, arrestata all’alba dagli uomini della Dia, era riuscita in pochi anni a scalare le gerarchie della cupola mafiosa di Catania. Una donna boss, “la più importante dell’ultimo ventennio”, secondo Il pm della Dda Pacifico, il tutto con la benedizione del marito, il capomafia recluso al 41bis Orazio Privitera, condannato in primo grado all’ergastolo per tre omicidi. “Tina” era non solo il punto di riferimento a cui si rivolgevano i picciotti, ma alla stessa spettava l’ultima parola per le questioni più spinose nei delicati assetti criminali. Tutti a Catania insomma si rimettevano al suo giudizio senza mai metterlo in discussione. L’inchiesta “Prato verde” ha portato in manette 26 persone, sparse tra le città di Roma, Milano e Torino, ma anche a un latitante, trasferitosi recentemente in Germania e ricercato dalla B.K.A. (polizia federale tedesca) sotto il coordinamento della Procura di Stoccarda.
Avvenuto il passaggio di consegne tra il boss e la moglie, nel gennaio 2010, emerse anche il carattere aggressivo della donna capomafia. Intercettata dalle cimici della Dia commentava insieme a un membro della cosca senza mezzi termini la scelta del cugino del marito, Giacomo Cosenza, di collaborare con la giustizia: “Una volta – affermava il suo interlocutore – quando c’era una cosa di queste… uno di questi faceva queste cose gli iniziavi a sterminare …. quello che gli dovevi sterminare”. “La verità – rispondeva la donna – ora perché c’è l’amicizia, perché c’è la parentela”.
Quello retto da Agata Balsano era un sistema “feudale” basato su un controllo capillare del territorio della piana di Catania. Un enorme fetta di latifondi invasa da aziende agricole e masserie in cui veniva imposta la guardiania. Tra gli affari più remunerativi c’era anche quello dei contributi dell’Unione Europea destinati all’agricoltura. Milioni di euro sottratti alle casse pubbliche grazie allo stratagemma delle autocertificazioni che permettevano di autointestarsi ettari di terreno all’insaputa dei proprietari. La donna era riuscita pure a farsi affidare la gestione di alcune attività collaterali. Tra queste la vigilanza del parcheggio di uno dei più noti lidi balneari di Catania, che in ogni stagione estiva assicurava alle casse del clan migliaia di euro. Soldi che servivano a pagare avvocati e processi per i boss detenuti.
Nell’informativa della Dia, lunga centinaia di pagine a emergere è un quadro ricco di sfaccettature investigative. Si passa dal sostegno economico che gli imprenditori concedevano alla donna per recarsi dal marito in carcere, all’infiltrazione nel settore degli autotrasporti fino agli affari legati alle forniture di cemento per la costruzione di centri commerciali a braccetto con Cosa Nostra. Alcuni affiliati operavano nelle cooperative di servizi che tra il 2011 e il 2012 ottennero appalti per la pulizia degli ospedali.
Entusiasta per l’operazione il direttore nazionale della Dia Arturo De Felice, arrivato appositamente a Catania per prendere parte alla conferenza stampa e illustrare i dettagli del blitz insieme al Procuratore Giovanni Salvi e al Pm Pasquale Pacifico.
di Dario De Luca