Vincenzo Pascale era appassionato di medicina d'emergenza, ma tra graduatorie e raccomandazioni l'ingresso era sbarrato. In più voleva viaggiare. Così prima lavora in Spagna, poi viene assunto da una multinazionale medica che opera in Africa e assiste i dipendenti di una compagnia petrolifera
Medicina d’emergenza: accesso vietato. È il cartello che l’Italia ha messo di fronte a Vincenzo Pascale e per una vita gli ha bloccato la strada verso la carriera. La crisi non c’entra. “La colpa è di graduatorie infinite viziate dall’anzianità di servizio. Non c’è un concorso per essere ammessi in questo settore. Così i giovani entrano solo da vecchi. Per non parlare delle raccomandazioni. E della professionalità che non conta un tubo”, spiega lui. Il suo sogno è sempre stato fare il medico d’urgenza nel 118. Ci prova appena laureato, nel 1983. Impossibile: non ha i punti. Vent’anni più tardi ci riprova. Niente da fare. Prima di lui c’è la coda, sempre troppo lunga per aspettare. Risultato? Vincenzo, 56 anni, emigra prima in Spagna e poi in Angola, dove oggi presta servizio per una multinazionale medica che assiste i dipendenti (e rispettive famiglie) di una compagnia petrolifera.
La storia è questa. Nato a Battipaglia, in provincia di Salerno, finisce gli studi nel 1983. Subito fa il dentista. In realtà preferisce il medico di base ma “c’era il blocco delle assunzioni da quattro anni”, dice. Tre anni dopo diventa guardia medica. Fino al 1994, quando vince un posto come medico di famiglia a Salerno. A Vincenzo però piace l’alta tensione, l’adrenalina nelle vene, l’esperienza del limite. Stare fermo non fa per lui. Quindi si candida come medico di bordo nelle navi da crociera: un mese, tre volte all’anno. Nel 2003 si trasferisce in Liguria, a Genova. Perché? “Divorzio, devo cambiare aria”. Quando non è in giro nel Mediterraneo, fa il dentista in alcuni studi locali. “Fare l’odontoiatra non era la mia passione, lo sono diventato per necessità – racconta -. Il privato pagava poco. Entrare nel 118 continuava a essere un miraggio, anche perché quando abiti fuori dalla tua regione gli anni di servizio vengono dimezzati”.
A questo punto decide di trasferirsi in Spagna. È il 2007. “C’erano pochi medici di famiglia, insufficienti a soddisfare il fabbisogno, quindi lo Stato avrebbe avuto bisogno di me. La paga sarebbe stata il doppio di quella italiana perché avrei potuto stipulare più di un contratto, vista la carenza di personale”. Questi sono i motivi che lo spingono a partire. Ecco perché la Spagna sì e l’Italia no. Per sei mesi esercita la professione tra Cartagine e Murcia. Ma il suo obiettivo non cambia: medicina d’urgenza. E va in porto. Tramite concorso si aggiudica un posto nel servizio sanitario di emergenza e urgenza spagnolo (cioè il 118 locale). “In Spagna – sottolinea – si accede sempre per concorso, non con il sistema delle graduatorie come in Italia, dove il concorso vale solo negli ospedali”.
Nel frattempo segue cinque corsi specifici di preparazione: rianimazione cardiorespiratoria, elisoccorso, assistenza nei traumi preospedalieri, task force in caso di emergenza collettiva, per esempio terremoto, incidenti multipli, inondazioni, caduta di aereo. “Non esiste una specializzazione in questo settore. Anche in Italia avrei dovuto seguire dei corsi extra”. Piomba la crisi. Le ore di lavoro calano, gli stipendi abbattuti. Vincenzo vuole andarsene. Un collega gli accenna di una multinazionale medica che opera anche in Africa, a Luanda, capitale dell’Angola. “Ho fatto domanda e mi hanno preso”.
A forza di rimanere in Italia, il suo sogno sarebbe naufragato. Ci sono voluti più di 30 anni per coronarlo, e soltanto oggi può dirsi soddisfatto: “Contratto a tempo indeterminato. Lavoro a mesi alterni. Guadagno: otto ottomila euro. Il mese a casa è pagato. Biglietti aerei pagati. Permanenza nella base pagata. Parlo italiano, inglese, spagnolo e portoghese. A chi mi chiede se tornerò in Italia, rispondo di si… ma per un salto turistico”. Vincenzo si divide cinquemila pazienti con altri medici sul campo. Fa 40 visite al giorno, dal lunedì alla domenica. “Luanda è una città carissima e molto pericolosa. Quando esco dalla base sono costretto a muovermi in taxi, sempre, altrimenti rischio la rapina a mano armata”. Il consiglio che dà agli studenti di medicina? “C’è una quantità incredibile di opzioni. Se imparate bene l’inglese, non ci sono limiti al lavoro: cercatelo in India, Stati Uniti, Nuova Zelanda e Nord Europa”.