Prima chi percepiva un reddito inferiore ai 10.300 euro non era costretto a registrarsi all'ente previdenziale. I nuovi iscritti a basso reddito avranno diritto a un regime agevolato, che però consentirà loro di vedersi riconosciuti solo sei mesi di anzianità contributiva per ogni anno. Per i primi cinque anni, anche in caso di reddito prossimo allo zero, il minimo da versare sarà di 800-850 euro l'anno pena la cancellazione dall'albo
I contributi per la pensione mettono a rischio la loro attività. E i giovani avvocati non ci stanno. Il nuovo regolamento della Cassa forense, il loro ente di previdenza, è una mazzata. Perché d’ora in poi, questa è la questione, anche chi ha un reddito basso sarà costretto a versare un minimo contributivo, pena la cancellazione dall’albo. I responsabili del gruppo Facebook ‘No Alla Cassa Forense Obbligatoria’ nei giorni scorsi hanno indirizzato una lettera all’ormai ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, che insieme al titolare dell’Economia deve dare l’ok definitivo, per chiedergli di non approvare il testo.
La novità è conseguenza della riforma della legge professionale portata a termine dal governo Monti, che ha reso obbligatoria per tutti gli avvocati l’iscrizione alla Cassa forense. Prima chi percepiva un reddito inferiore ai 10.300 euro, corrispondenti a circa 15mila euro di fatturato, non era costretto a farlo. I nuovi iscritti a basso reddito avranno comunque diritto per otto anni a un regime agevolato, che però consentirà loro di vedersi riconosciuti solo sei mesi di anzianità contributiva per ogni anno di contributi versati. Per i primi cinque anni, anche in caso di reddito prossimo allo zero, il minimo da versare sarà di 800-850 euro all’anno, tra contributo soggettivo di base e contributo di maternità. Nei successivi anni, fino all’ottavo, il versamento minimo, che includerà una quota del contributo integrativo, sarà di quasi 1.200 euro. Una volta terminato il periodo agevolato, saranno dovuti alla cassa almeno 3.700 euro all’anno.
Per gli avvocati che hanno scritto al ministro del Lavoro, le agevolazioni non sono sufficienti: “Costringere chi ha un reddito basso a farsi carico di un contributo fisso, seppur edulcorato al ‘minimo’, rappresenta un’evidente violazione del principio di proporzionalità e progressività contributiva previsto dalla Costituzione”, si legge nella missiva. Una soluzione più equa sarebbe stata “mantenere una soglia di esenzione per i redditi bassi e un’imposizione contributiva fondata sul criterio della proporzionalità al reddito prodotto”.
Per protestare contro “l’imposizione di versamenti obbligatori d’importi iniqui e vessatori in un momento economico drammatico” su Facebook è nato anche il gruppo ‘No alla Bozza di Regolamento Cassa Forense contributo minimo’. Ora il rischio è che molti dei 50mila avvocati che dovranno iscriversi all’ente previdenziale non avranno i soldi per farlo. E saranno quindi costretti a cancellare il proprio nome dall’albo professionale. Secondo Marco Pellegrino, uno dei responsabili del gruppo ‘No Alla Cassa Forense Obbligatoria’, non è insolito che un avvocato all’inizio della propria attività incassi pochissimo: “Le nostre parcelle – spiega – vengono spesso pagate solo dopo la chiusura della pratica. E anche nel caso in cui si incassi un acconto, questo basta a malapena a coprire le spese. L’avviamento di un avvocato che non sia figlio di avvocati dura sette-otto anni”. I minimi da versare per la pensione rischiano così di tagliare le gambe a molti giovani. E si aggiungono agli altri costi introdotti dalla riforma della legge professionale, come l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile e quella contro gli infortuni.
Twitter: @gigi_gno
Riceviamo e pubblichiamo la risposta del presidente della Cassa forense, avvocato Nunzio Luciano:
Quando con la nuova legge professionale è stata introdotta l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa forense per tutti gli avvocati iscritti agli Albi sapevamo che, nonostante la grande importanza di una norma che finalmente riconosce una stessa cittadinanza previdenziale a tutti gli avvocati (prima dell’entrata in vigore della nuova legge forense, i legali che dichiaravano redditi professionali al di sotto dei 10.300 euro dovevano comunque versare all’Inps oltre il 27% di contribuzione), il compito di varare un nuovo regolamento dei contributi sarebbe stato complesso. Ma ci siamo impegnati affinché le nuove norme di contribuzione fossero le più giuste ed eque possibili, dando a tutti la possibilità di continuare a esercitare la professione.
Così, essendo consapevoli della forte crisi che sta colpendo l’Avvocatura e non volendo che le nuove norme fossero una tagliola per migliaia di professionisti, abbiamo ideato un regolamento flessibile che prevede per chi ha redditi bassi la possibilità di pagare per i primi otto anni di iscrizione alla Cassa una contribuzione minima di gran lunga inferiore a quella ordinaria. Ciò è stato fatto per permettere ai giovani di entrare in un sistema che ha una forte connotazione solidaristica, dove il più forte aiuta il più debole (circa il 10% della pensione di chi guadagna e versa meno è coperto da chi ha redditi molto elevati), e che garantisce nell’immediato assistenza a tutti.
Nessun istituto previdenziale, pubblico o privato, eroga pensioni senza il pagamento dei contributi e a chi chiede l’esenzione da una contribuzione minima dobbiamo ricordare che il pagamento dei minimi è necessario non solo per salvaguardare il sistema nel suo insieme ma soprattutto per garantire in futuro pensioni dignitose. D’altra parte, non siamo i soli a richiedere una contribuzione minima. Tutte le casse professionali più importanti lo prevedono e i loro minimi sono di gran lunga superiori a quelli richiesti dal nuovo regolamento.
Infine, le agevolazioni per i professionisti più deboli sono previste per ben otto anni, oltre i quali è dato pensare che i colleghi possano pagare la contribuzione minima intera. Bisognerebbe sottolineare che il vero problema non è quello della contribuzione minima, ma l’elevato numero degli avvocati iscritti agli Albi che non riesce più a trovare uno spazio in un mercato ormai saturo. Le università, nel frattempo, continuano a sfornare migliaia e migliaia di laureati che non trovano sbocco nel mercato del lavoro.