Nel 1994 il presidente del Consiglio Ciampi firmò il primo stato di emergenza per la Regione. Oggi, dopo l'assoluzione di tutti gli imputati nel processo ad Antonio Bassolino e ai vertici di Fibe-Impregilo, le ecoballe sono ancora al loro posto, mentre i commissariamenti si sono moltiplicati senza esito
A 20 anni dall’inizio dell’emergenza nessun colpevole, solo balle di ‘monnezza’ stoccate e commissari. E’ la sintesi della crisi nella gestione dei rifiuti solidi urbani in Campania. Correva l’anno 1994. Al governo c’era Carlo Azeglio Ciampi. Oscar Luigi Scalfaro era presidente della Repubblica. In Campania la camorra spadroneggiava. Napoli aveva visto cadere il potere politico sotto le inchieste sulla tangentopoli partenopea. Esattamente due decenni fa, febbraio 1994, con decreto del presidente del consiglio fu dichiarato lo stato d’emergenza nella gestione dei rifiuti nella regione. L’emergenza, inizialmente a termine, è durata, invece, fino al dicembre 2009. Solo i commissari hanno gestito, negli anni, due miliardi di euro, metà di provenienza statale. Eppure la Campania attende ancora un ciclo di gestione efficace e, nonostante l’emergenza e i commissari, l’imprenditoria affaristica e criminale ha continuato a imperversare nel settore. Basti pensare agli affari nella compravendita delle cave o al protagonismo di faccendieri nelle fasi calde delle ripetute crisi. L’altro effetto è stato che nelle discariche servite a ingoiare il pattume urbano sono stati scaricati i veleni industriali, il grande business, trasformando i siti di smaltimento in gironi infernali. Sul ciclo e gli impianti realizzati, sul ruolo della struttura commissariale c’è stato un processo contro i vertici di Fibe-Impregilo, Antonio Bassolino, per il suo ruolo di commissari, e altri imputati.
Processo, dopo 5 anni, finito con l’assoluzione di tutti i coinvolti. Le anomalie contestate dalla procura erano innumerevoli. Tra queste il divieto di stoccare le ecoballe, che in attesa dell’inceneritore il privato avrebbe dovuto smaltire a sue spese, la qualità stessa delle balle, la falsificazione dei risultati delle analisi in ordine alla qualità delle frazioni fino al funzionamento degli impianti di trattamento del pattume. Ma il fallimento nella gestione, secondo la sentenza dei giudici, è colpa della mancata differenziata e dei ritardi nella costruzione dell’inceneritore. La Corte, presieduta dalla giudice Maria Adele Scaramella, individua responsabilità. “Fin dalla sua nascita il progetto di gestione del circuito dei rifiuti – si legge nella sentenza depositata ad inizio mese – ha trovato enormi e preconcette ostilità ideologiche, politiche e sociali, da parte delle popolazioni e – spiace dirlo – di rappresentanti delle istituzioni che hanno ostacolato ogni sua fase e ne hanno determinato il fallimento con le conseguenze ambientali che sono sotto gli occhi di tutti”. Il capitolo giudiziario non è ancora chiuso.
Restano in piedi altri due procedimenti penali seguiti all’inchiesta madre. Oggi, a 20 anni dall’inizio dello stato di emergenza, la Campania fa i conti con il disastro economico ed ambientale. Al momento non c’è neanche un impianto di compostaggio attivo, utile a trattare la frazione umida, si aspetta da anni l’inaugurazione di quello di San Tammaro, in provincia di Caserta. I commissari, però, si sono moltiplicati, alcuni di nomina governativa, altri regionale. C’è quello alla realizzazione dei digestori, proprio per trattare gli scarti alimentari, quello deputato alla realizzazione dell’inceneritore, quello che si occupa delle bonifiche, quello impegnato al funzionamento dei depuratori, quello antiroghi, quelli preposti agli impianti Stir e, infine, quello per l’individuazione delle discariche. Restano i commissari e le balle di rifiuti, 7 milioni di tonnellate stoccate in giro per la Campania. La prova di un fallimento, ma senza colpevoli.