Cultura

Manoscritti/43: Il carro armato di latta (di Delio Lomaglio)

Chiedo scusa per l’ennesimo ritardoo. Me ne capita sempre una. O sono in un posto in cui la connessione è ballerina, o mi muore il cane, oppure, come è successo nei giorni scorsi, decido di lasciare il giornale in cui ho lavorato per 27 anni, e  ho diretto negli ultimi 9.
Il mio saluto ai lettori, a chi interessase, è in questo post.
Spero di riprendere a postare con regolarità. Ma è un momento di grandi scelte, questo, per me. E buona lettura. (RB)

IL CARRO ARMATO DI LATTA

di Delio Lomaglio

CAPITOLO UNO

Anche quella sera Marco aveva finito il suo lavoro in ospedale verso le otto. Abbandonato nella poltrona del suo studio, si sentiva stanco e appagato da una giornata intensa in cui era riuscito a mantenere tutti i suoi impegni. Gli era rimasto ancora negli occhi il sorriso stanco ma sereno di quel bambino appena sveglio dall’anestesia che lui aveva abbracciato forte, quasi fosse una sua creatura. Aveva pregato in cuor suo quando aveva preso il bisturi e aveva cominciato ad incidergli la testa e il Padreterno sicuramente gli aveva dato una mano, visto che le cose erano andate decisamente meglio di quanto lui stesso sperasse.

La neurochirurgia pediatrica con particolare riguardo alle patologie dell’emisfero cerebrale destro era stata da sempre la passione della sua vita e perciò il caso di quel bambino, portatore di una malformazione congenita proprio in quella parte del cervello, l’aveva particolarmente coinvolto.

Quella sera decise di concedersi uno dei pochi lussi che la sua attività lavorativa gli permetteva. Chiamò Elisabeth e fece avvertire l’ autista che avrebbe fatto a meno di lui. Preferiva tornare a casa a piedi, almeno sino alla fermata del metrò.

Si immerse nel traffico della città ancora caotico a quell’ora. In fondo la sua casa in Broadway Street non era molto lontana dal Massachusetts General Hospital e a lui piaceva percorrere il Longfellow Bridge dal quale poteva ammirare Boston illuminata dall’alto. A quell’ora Charles River Basin era particolarmente affollato di natanti che tornavano a casa e lo sguardo di Marco si perdeva in quella moltitudine di barche e motoscafi illuminati che transitavano sotto le grandi arcate.

Con quell’ampio bacino attraversato dai ponti e il mare in lontananza, Boston non sembrava fatta per le auto. Tutti quei fari che sfrecciavano e si incrociavano apparivano come i riflessi di un corpo estraneo, lontano mille miglia dalla città.

L’uomo ha fatto bene fino ad un certo punto, pensò Marco, poi con l’avvento delle macchine ha perduto il controllo dello sviluppo, ne é stato travolto. In fondo le auto sono nella storia dell’umanità uno spartiacque che avvicina fisicamente gli uomini tra loro ma spesso li allontana da se stessi .

L’aria primaverile e la brezza che a quell’ora cominciava a salire dal mare lo ritempravano , dandogli la carica sufficiente ad organizzare una di quelle serate rock, come le definiva, che gli consentivano di girare l’interruttore fino al giorno successivo .

Vita di lavoro e di studi, ma anche di belle donne con una capacità invidiabile di conciliare la vita professionale con quella mondana, nessun salotto-bene di Boston gli era negato. Una condotta da single conclamato, ma non da libertino, come ci teneva a sottolineare con determinazione. In fatto di donne aveva un concetto di fedeltà con dei confini un po’ allargati. A modo suo, si riteneva un tipo fedele perché riteneva che nei rapporti sociali come in quelli sentimentali quello che conta è l’autenticità dei propri sentimenti.

Quella sera aveva bisogno di un carica vitale che lo liberasse dallo stress che aveva accumulato nell’ultima settimana .

Una volta a casa, la prima cosa da fare era telefonare a Carolyn, la più vivace del giro, e sicuramente avrebbe programmato con lei una serata con i fiocchi. Doveva inventarsi una scusa, visto che non si vedevano da qualche mese, ma non gli sarebbe stato difficile riconquistare la sua complicità.

Il fischio del treno alla fermata lo distolse dai suoi pensieri.

Salito sul metrò, una ragazzina gentile gli cedette il posto. Lui accettò istintivamente con un sorriso, più sorpreso che compiaciuto. A ben pensarci,era la prima volta che gli capitava di essere destinatario di una cortesia di quel tipo.

Una volta a casa, si accasciò sul letto. Aveva bisogno di distendersi. Ma per prima cosa doveva chiamare Carolyn.

“Quale filtro amoroso eri impegnata a preparare ? Mi hai fatto aspettare a telefono dieci minuti prima di rispondere ”, esordì Marco cercando di prenderla alla larga.

“Marco. ?!” , esclamò Carolyn dall’altra parte del filo. “ E’ già un miracolo che sono riuscita a riconoscerti. E’ un’eternità che non ti fai sentire . Pensavo che finalmente qualcuna ti avesse convinto al grande passo”.

“Niente di tutto questo. Il lavoro mi ha preso più del solito. Sto avviando un nuovo progetto all’interno dell’Ospedale con la collaborazione di colleghi americani e stranieri. Te ne parlerò se riusciremo ad incontrarci stasera”.

“Sono quasi le nove, sei sempre quello dei tempi supplementari .Ma sai che a te non riesco a dire mai di no. Del resto le cose non programmate sono quelle che riescono meglio. Vorrà dire che mi presenterò a te in tutta la mia naturalezza perché non ho il tempo per un trucco raffinato. A proposito, sono tentata di fare qualche ritocchino al mio volto. Vorrei il tuo punto di vista, non solo medico, naturalmente“.

“Ok, il tempo di distendermi e fare una doccia. Diciamo che sarò col taxi davanti casa tua verso le nove e trenta”.

Mentre Marco si radeva, si accorse che quel ciuffo di capelli bianchi sulle tempie si era infoltito. Chissà perché si ricordò della ragazza che gli aveva offerto il posto in metrò, un gesto cortese ed inusuale, che con una certa civetteria egli aveva scambiato per un gesto di ammirazione che talvolta le ragazzine hanno per gli uomini attraenti di una certa età.

La concomitanza tra questi fatti, il ciuffo bianco e il metrò, improvvisamente lo fece sentire triste. Una tristezza che gli saliva dal profondo, frutto di quella strana capacità che ha il nostro inconscio di lavorare in silenzio e fare le sue statistiche, sommare i dati e le emozioni che si riferiscono allo stesso fenomeno e trarre di colpo le conclusioni. Forse stava davvero invecchiando e questo era il momento in cui il suo inconscio gli presentava il conto.

E’ possibile che si possa invecchiare all’improvviso? , si chiese Marco sforzandosi di recuperare il suo ottimismo. Aveva sempre ritenuto che la vecchiaia fosse un processo lento, non un evento improvviso, come un ictus o un infarto.

Come era possibile ? Cosa era successo di così clamoroso nella sua vita, magari nella sua mente, che gli avesse provocato questo improvviso decadimento del corpo ? Ma era poi vero oppure questi segni esistevano da tempo e solo adesso lui li metteva a fuoco? Si convinse che questi segni esistevano da un pezzo e solo una concomitanza casuale li aveva portati in evidenza . Fece un gesto con la mano come per scacciare una brutta idea che gli ronzava per la testa. In fondo quella canizie appena accennata gli conferiva una maturità che lui aveva sempre invidiato negli altri.

Il taxi correva veloce per Summer Street e Marco pensava a come programmare la serata con Carolyn. Il piano-bar era troppo deprimente e lui quella sera aveva voglia di divertirsi; il ristorante era troppo banale per rivedersi con Carolyn dopo un periodo di assenza così lungo. Forse era meglio optare per una soluzione mista, in cui si poteva mangiare ma anche ascoltar musica e ballare. Lo avrebbe proposto a Carolyn.

Ma la sua mente ritornò alla ciocca bianca e alla ragazza del metrò.

Si esaminò mentalmente dalla testa ai piedi.

In fondo, aveva appena superato i cinquant’anni anni e si sentiva come un motore ancora integro e scattante costretto forse a girare in una carrozzeria la cui vernice avesse perso un po’ della sua brillantezza e sulla quale cominciassero a comparire le prime ammaccature. Questa forse doveva essere la sensazione che egli infondeva nel prossimo. E questa distonia tra l’essere e l’apparire, tra il sentirsi e il mostrarsi, rappresentava per lui motivo di profondo turbamento, una condizione che per lui in futuro, quando la vecchiaia avrebbe cominciato ad incalzare, sarebbe stato difficile governare.

In effetti la vecchiaia è una strana malattia, pensò, la cui diagnosi te la fanno gli altri, basandosi sui tuoi segni esteriori. Sono gli altri che decidono se sei vecchio oppure no, e, anche se tu ti senti in perfetta efficienza, la condanna è senza possibilità di appello. Nè puoi girare con un cartellone appeso al collo con su scritto che sei ancora in perfetta forma, che hai le stesse capacità di dieci anni prima e che non sei come qualche segno esteriore lasci pensare.

 

Sussultò appena il taxi frenò bruscamente. Carolyn era già seduta al suo fianco mentre Marco continuava a cercarla fuori con lo sguardo. Gli apparve più bella del solito, raggiante e piena di energia, con quella carica che a Marco piaceva tanto. Si abbracciarono a lungo come due innamorati appassionati, forti di quel rapporto un po’ anomalo che ogni volta era capace di esprimersi al massimo perché non chiedeva niente a nessuno dei due protagonisti.

“Sei bellissima”, esclamò Marco. “Ogni volta che ti vedo mi innamoro di te. Hai una grande capacità di riproporti ai miei occhi come la donna della mia vita”.

“Anche tu stai benissimo. Sei il maliardo di sempre e ti trovo addirittura ringiovanito rispetto all’ultima volta “, rispose Carolyn.

Queste parole suonarono come musica alle sue orecchie.

In fondo, lui, virile nelle sembianze e aitante nel fisico, gli occhi neri e profondi come quelli paterni, mostrava una vitalità superiore ai suoi anni, anche se qualche capello bianco cominciava ad incanutirgli le tempie.

“A proposito oggi per me è stata una giornata di bilanci. Mi sono scoperto invecchiato davanti allo specchio ma poi ho promesso a me stesso di non crederci .Tu che ne pensi dell’invecchiamento ?” .

“ Vedi per una donna come me, anche se mi avvicino ai quarant’anni , l’invecchiamento non esiste. Non riesco ad uscire fuori da me stessa ed osservarmi vecchia. E’ una condizione che non mi appartiene e forse riguarda le altre donne. Ogni giorno è quello buono per ripartire. Il fisico mi sostiene abbastanza e questa è una fortuna che ho ereditato dai miei genitori. A proposito, sono partiti la scorsa settimana per una crociera sul pacifico. Ritorneranno tra un mese“.

Marco restò un po’ deluso della risposta. Sperava che Carolyn, anziché parlare di se stessa, lo avrebbe rassicurato sulla sua condizione di uomo e maschio.

“Cerchiamo di organizzare la nostra serata“, disse, quasi per scacciare qualche triste pensiero che ancora gli girava per la testa.

“Ti va una serata semi-mossa ? Potremmo andare al Pussycat, si mangia bene e la musica non è da meno. Stasera mi voglio scatenare”, concluse sorridendo.

 Scorrendo il menù si accorsero che non era cambiato di molto rispetto all’ultima volta. Carolyn scelse la sua Lobster al vino bianco , un piatto che era la specialità del ristorante. Marco la copiò, aggiungendo una bottiglia di Veuve Clicquot , il suo champagne preferito.

Il loro tavolo era situato non lontano dall’orchestra che aveva cominciato a creare l’ambiente con musica swing anni cinquanta. Carolyn e Marco, mano nella mano, l’ ascoltavano con trasporto .

“ Sai, ti ho molto pensato in questo periodo, soprattutto quando a fine giornata mi rifugiavo nel mio studio per fare il bilancio della giornata. Il tuo pensiero mi rasserenava e mi ridava l’energia per andare avanti. Mi sto avventurando da circa tre mesi in un nuovo progetto, sponsorizzato dal Governo, che assorbe tutto il mio tempo al di fuori delle attività professionali. Si tratta di mettere sù nel nostro ospedale un nuovo modello di assistenza neurochirurgica per i bambini cerebrolesi, con un nuovo protocollo di terapia e di supporto. E’ un progetto internazionale che si sviluppa con l’apporto di colleghi di altri Paesi, perché una volta validato nel nostro ospedale esso sarà impiantato anche in altri ospedali all’estero. Un progetto affascinante anche se molto impegnativo. Ma l’amore per i bambini mi dà la forza per non mollare”.

“Avevo temuto di peggio” l’interruppe Carolyn“ ma poi mi confortavo pensando che se un giorno tu avessi incontrato davvero la donna fatale per fare il grande passo io sarei stata la prima a saperlo. Ovviamente la cosa è reciproca, anche se penso che questa evenienza è difficile che si possa verificare. Siamo in questo abbastanza simili, non siamo fatti per legami indissolubili, anche se sappiamo amare la persona che ci è vicina senza riserve. In fondo siamo due single cronici e ognuno di noi due ha la sua vita privata”.

Marco non seppe resistere quando l’orchestra cominciò ad intonare I won’t dance e aprì le danze. Carolyn lo stringeva forte a sé e pensava all’ultima notte passata insieme. Una notte bella e interminabile, di passione e anche di tenerezza, come due giovani amanti affamati di baci e di carezze quasi per farsi una scorta fino all’incontro successivo. Forse quella poteva essere la serata buona per ricreare quelle emozioni.

Quando arrivarono a casa di Carolyn entrambi erano sicuri su come si sarebbe conclusa la serata. Fecero l’amore a lungo e fu bello come le altre volte, più intenso delle altre volte.

Marco lasciò la casa di Carolyn quando erano le tre. Fortunatamente l’unico taxi che era riuscito a trovare a quell’ora era già giù ad aspettarlo. Si sarebbe potuto concedere qualche ora in più di sonno, perché la mattina successiva non aveva camera operatoria. Il primo incontro era alle dieci con gli specializzandi del Dipartimento di Neurosurgery for Children che lui dirigeva. Doveva ricordarsi di lasciare sulla segreteria telefonica di Elisabeth un messaggio per avvertirla che sarebbe arrivato in ospedale un po’ in ritardo. Appena seduto, chiuse gli occhi e pensò alla splendida serata passata con Carolyn .

“Non facciamo passare più tanto tempo prima di rivederci ”, aveva implorato Carolyn prima di dargli il bacio dell’arrivederci.

Anche quella notte con Carolyn si era verificata la magia.

QUARTA DI COPERTINA

E’ la storia di un neurochirurgo italo-americano dinamico e brillante che, ad un certo punto della sua vita, scopre sul volto i primi segni dell’invecchiamento. In fondo è una scoperta con la quale tutti, prima o poi, dobbiamo fare i conti, ma nel caso di Marco assume un significato un po’ diverso. La sua attività frenetica, nella professione come nella vita, non gli ha mai concesso il tempo di fermarsi e riflettere su questa condizione. E così scopre a sue spese che anche la vecchiaia è una condizione che si apprende, come un nuovo linguaggio o la scalata di una montagna sconosciuta e che solo imparando ad invecchiare si riuscirà ad invecchiare bene. Ma questo è anche il romanzo della nostalgia o, meglio, di una doppia nostalgia: del suo paese nativo fino a quando rimane in USA e del suo mondo americano quando rientra in Italia.

BIOGRAFIA

Delio Lomaglio, ingegnere, si definisce un umanista prestato all’ingegneria. E’ infatti autore di saggi scientifici e umanistici, quali: La vendetta della memoria (1998), Noi del duemila (1999), Aforismi del terzo millennio (2009). Ha sempre espresso particolare sensibilità per il tema del rapporto tra cultura e innovazione e per le inquietudini dell’uomo dopo l’esordio nel nuovo millennio ( dlomaglio@libero.it )