Con una prima assoluta nel panorama italiano, il cda del Leone di Trieste vara il tutti contro tutti approvando il via a un'azione legale “risarcitoria e di responsabilità” contro Giovanni Perissinotto. Anche a rischio di ripercussioni sui propri azionisti e attuali consiglieri
Il Leone di Trieste sa essere aggressivo quando vuole. Il consiglio delle Generali ha dato mandato all’amministratore delegato Mario Greco di procedere davanti al giudice del lavoro a un’azione legale “risarcitoria e di responsabilità” contro l’ex ad, Giovanni Perissinotto, e l’ex direttore generale, Raffaele Agrusti. La decisione è arrivata in seguito alla richiesta dell’autorità di vigilanza, l’Ivass, di analizzare alcuni investimenti alternativi realizzati dalla passata gestione e di valutare “il trattamento economico” dei due ex manager “nell’ambito degli accordi di uscita”. Sulla base della delibera del consiglio, ora Greco dovrà “contestare gli accordi risolutivi dei rapporti di lavoro conclusi“, oltre che “all’estinzione dei titoli vantati da Raffaele Agrusti nei confronti della società, al recupero delle somme pagate a Giovanni Perissinotto, nonché per entrambi alla richiesta di risarcimento dei danni subiti a causa dell’inadempimento degli obblighi derivanti dai rispettivi rapporti di lavoro subordinato”.
La decisione del cda di Trieste rappresenta una prima assoluta nel panorama delle multinazionali. E sorprende il fatto che si delinei nella più antica compagnia assicurativa italiana, che, nata nel lontano 1831, vanta oggi un centinaio di miliardi di attivi ed è al 49esimo posto nella classifica Fortune 500 dei gruppi più ricchi al mondo. Ma questa non è l’unica anomalia dell’intera faccenda: l’azione contro gli ex manager si basa sui pareri legali di Portale Visconti e Maresca relativamente a sette operazioni realizzate dal tandem Perissinotto Agrusti fra il 2000 e il 2007. Pareri che però contraddicono quelli espressi a giugno dallo studio Bonelli Erede Pappalardo. Infine, gli investimenti “alternativi” nel mirino del cda potrebbero non essere l’unico capo d’accusa nei confronti degli ex manager: il consiglio si è riservato di “lasciare impregiudicata” ogni altra eventuale iniziativa. Ma per Perissinotto, la scelta di ricorrere al giudice del lavoro è un autogol. “E’ una decisione che, per non riconoscere la debolezza dei rilievi mossi alla mia gestione, propone di agire nei miei confronti per il mio operato come dipendente della compagnia”, dichiara a caldo l’ex ad.
Per far questo si scomodano, in maniera impropria, le presunte pressioni delle Autorità di Vigilanza, pressioni che la stessa Consob ha ufficialmente smentito”. Del resto l’accertamento di una più ampia di responsabilità, al di fuori della sede giuslavorativistica, non conviene a nessuno dei componenti del consiglio. Innanzitutto per una questione di responsabilità: nel periodo in questione, alcuni consiglieri facevano già parte del cda delle Generali. Fra questi, Gabriele Galateri di Genola, attuale presidente delle Generali ed ex Mediobanca, il costruttoreeditore, Francesco Gaetano Caltagirone e il numero uno dell’Eni, Paolo Scaroni. In più puntare il dito contro Perissinotto rischia di essere un’arma a doppio taglio per i soci. Perché potrebbe anche far scattare una serie di interrogativi. Mediobanca, che detiene il 13,465% delle Generali, potrebbe dover spiegare, ad esempio, come mai non si è da subito opposta alla creazione del fondo infrastrutturale Valiance, oggi oggetto degli approfondimenti di Greco relativamente alle responsabilità degli ex manager. O almeno non lo abbia fatto quando a partire dal 2010 quando la Valiance viene trasformata in Vei capital, con il contributo del socio veneto Roberto Meneguzzo, numero uno di Palladio.
La stessa finanziaria che tenterà, senza successo, la scalata alla Fonsai dei Ligresti di cui Piazzetta Cuccia è uno dei più rilevanti creditori. Rischia di finire nell’occhio del ciclone anche l’azionista Effeti. La società, in cui ha investito la Fin.Int, finanziaria di Enrico Marchi e Andrea De Vido, accanto ai soci Palladio, le famiglie Amenduni (gruppo Valbruna), e Zoppas, oltre che Veneto banca e Fondazione Crt, è salita agli onori delle cronache per via di un finanziamento concesso nel 2007 dal tandem Perissinotto Agrusti ad una controllata Fin.Int per 40 milioni. Ma almeno i rappresentanti di Effeti non compaiono nel consiglio di amministrazione delle Generali fra il 2000 e il 2007. E non potrebbe essere altrimenti dal momento che solo nel 2010, Effeti, rileva assieme alla torinese Fondazione Crt, un robusto pacchetto di azioni Generali, il 2,26%, messo in vendita da Unicredit.
Leonardo Del Vecchio, numero uno di Luxottica e socio di Generali con il 2%, potrebbe essere chiamato a riaprire il capitolo della sua uscita di scena, nel febbraio 2011, dal consiglio delle Generali di cui faceva parte dal 2006. Dimissioni che, secondo indiscrezioni riportate da Il Foglio del 24 febbraio 2011, sarebbero legate a doppio filo con investimenti nel mattone effettuati da Perissinotto in Francia in diretta concorrenza con Fonciere des Regiones, gruppo immobiliare controllato da Del Vecchio. Il costruttoreeditore Francesco Gaetano Caltagirone potrebbe dover fornire dettagli sulla Residenza romana Cartesio. Il progetto su cui è impegnata la Vianini Lavori, società del gruppo Caltagirone, finisce prima nel fondo Seneca della Fabrica Immobiliare, società di gestione controllata dallo stesso costruttore e dal Monte dei Paschi di Siena. E poi confluisce nella Investire Immobiliare della famiglia Nattino. E più precisamente nel fondo, Apple, in cui hanno investito anche le Generali dell’era Perissinotto Geronzi.
Lorenzo Pelliccioli potrebbe dover raccontare i termini degli accordi nel mattone con De Agostini. In qualità di ex componente del consiglio di Generali e in rappresentanza del socio di Generali B&D holding di Mario Drago sapa (2,43%), l’ad di De Agostini potrebbe dover descrivere i dettagli, anticipati Il Sole24ore del 17 aprile 2013, di maxintreccio da 300 milioni fra Generali e il suo socio di Novara, attraverso la IDeA capital funds nell’ambito di accordi raggiunti nel 2007 in seguito alla cessione delle Assicurazioni Toro al Leone di Trieste. Insomma il caso Perissinotto rischia davvero di diventare una “macchina del fango” come l’ha ribattezzata marchi. Con tanti altri retroscena di non poco conto. Negli ultimi tempi l’ex amministratore delegato di Trieste si è fatto non pochi nemici.
Innanzitutto ai vertici di Mediobanca quando, chiamato dalla Procura di Milano che indaga sul crac Ligresti, ha espresso le proprie perplessità sull’operazione UnipolFonsai. E poi anche all’Ivass, l’autorità di vigilanza delle assicurazioni dove ci sono ancora stretti collaboratori dell’ex presidente Isvap, Giancarlo Giannini, finito anche lui nel mirino della Procura come Flavia Mazzarella. Infine nella capitale, Perissinotto ha anche un altro nemico giurato: Cesare Geronzi. Il banchiere di Marino è rimasto ai vertici della Fondazione Generali, ma ma non ha dimenticato i contrasti con Perissinotto quando era presidente della Compagnia. Geronzi, del resto, la sa lunga sulle Generali e su tutto il suo passato. Anche più lunga di Greco che del resto è arrivato solo dall’agosto 2012 con l’obiettivo di gestire a modo proprio il Leone di Trieste. Senza interferenze dei soci, come nella migliore scuola manageriale.