Ecco i voti dell'inviata del Fatto Silvia Truzzi e dell'osservatore speciale Domenico Naso ai cantanti nel giorno di debutto del Festival della canzone italiana. Apprezzatissima l'esibizione di Cat Stevens
Prima fuori dall’Ariston e poi in sala Beppe Grillo, Raffaella Carrà e gli operai precari che chiedono a Fabio Fazio di leggere la loro lettera. Infine, i cantanti in gara di cui si parla sempre poco e il picco di ascolti con Luciana Littizzetto e Cat Stevens. Ecco le pagelle della prima serata del Festival della canzone italiana del nostro inviato a Sanremo Silvia Truzzi e del nostro osservatore speciale Domenico Naso.
Pagelle Silvia Truzzi
Fabio Fazio – 5,5
Temeva Grillo, invece a interromperlo sono i lavoratori. La circostanza è complicata, lui suda freddo ma alla fine se la cava bene. Meglio quando presenta di quando canta o tenta di sedurre la Casta. Come direbbe la Littizzetto, è fuori allenamento. Piange (e lo inquadrano!) quando Yusuf Cat Stevens canta Father and son.
Luciana Littizzetto – 5/6
E’ spigliata, però la formula lui educato, lei birichina ha stancato. Peggio di Un medico in famiglia 9. Sarebbe più carino che s’invertissero le parti: Fazio che dice una parolaccia, liberatoria, in diretta. E lei che lo sgrida. Invece è il solito copione, di allusioni e doppi sensi. Il costume crazy horse non si può vedere, nemmeno per scherzo.
Yusuf Cat Stevens – 9
Si esibisce quasi alla fine, ed è un bene perché si sente immediatamente che è un cantautore di razza. Classe, voce, ha tutto. L’unico momento musicale che si salva dell’intera prima serata.
Raffella Carrà – 8
Spettacolare l’energia, sembra sempre una ragazzina. Tiene il palco come nessuno dei presenti.
Laetitia Casta – 7
Erano tutti preoccupati che fosse troppo invecchiata, rispetto alla sua prima apparizione 15 anni fa. Invece è solo diventata una donna, dalla ragazzina che era. Oggi parla l’italiano, ma il numero con Fazio non è un granché. Però è bellissima, chic e spigliata.
Arisa – 5
Controvento è anche il titolo di una canzone di Malyka Ayane del 2009. Ecco, diciamo che le due non si assomigliano. Rischia, davvero, di vincere. Chi l’ha vestita prende un sonoro 4. A lei un punto in più ma non oltre, in tutta Sincerità.
Frankie Hi-Nrg 6,5
Passa il turno Pedala, e non stupisce. Ritmo e un accenno di testo (la bici metafora della vita). Promosso, almeno è vivo.
Antonella Ruggiero – 7 a lei, 5 ai brani
Voce, come al solito, di gran classe. Peccato per le canzoni, entrambe bruttine.
Raphael Gualazzi e The Bloody Beetroots – 7
Divertenti e bravi: sulla carta sembravano male assortiti, invece sono tra i migliori. La canzone scelta è Liberi o no, premio al ritmo.
Cristiano De Andrè – 7
Incredibilmente, passa il turno Il cielo è vuoto e non Invisibili, nettamente la più bella canzone di tutto il Festival. Ma è troppo raffinata per Sanremo.
Perturbazione – 5
Cantano un’Italia vista dal bar che beve il Biancosarti fa la ricolazione (la rivoluzione era troppo). Dove l’avranno vista? E soprattutto a chi è venuta in mente la ricolazione? Passa l’Unica, elogio di numerosi amori non tutti leciti.
Giusy Ferreri – 4/5
“Ho il sale sulla labbra, non è acqua di mare. Sorridere fa bene, piangere fa male”, vince il premio per il testo più banale. Invedibile (mezza testa rasata, unghie nere, un paio di scarpe da balera di quart’ordine), inaudibile.
Pagelle di Domenico Naso
Yusuf Cat Stevens – 10
E non solo perché è Cat Stevens, il ché sarebbe già abbastanza. Ma anche, e soprattutto, perché la sua esibizione è stata l’unico momento degno di nota in una serata altrimenti molto deludente. L’apoteosi di Father and son, poi, ha scaldato persino quel freezer di emozioni che solitamente è la platea dell’Ariston. Peccato il momento ecumenico, con Fazio che ha scomodato le religioni e il messaggio universale.
Massimo Gramellini – 4
Ci ha regalato in anteprima il suo Buongiorno, infarcito di bellezza, meraviglia, piccole cose. Quando si dice la fortuna. Un predicozzo che il prete della mia parrocchia sulla Casilina mi ha chiesto il suo numero di telefono per confrontarsi. Un solo rammarico: se da piccolo avesse frequentato il seminario, oggi ce lo ritroveremmo Papa. Peccato.
Luciana Littizzetto – 7
La Littizzetto ha fatto la Littizzetto, e ce lo aspettavamo. Ma ha avuto il merito di portare un minimo di brio su un palco davvero moscio. Qualche parolaccia buttata qui e là, al solito, ma Lucianina è divertente, irriverente e non si prende troppo sul serio. Almeno lei.
Fabio Fazio – 5
L’unica botta di vita se l’è regalata durante il siparietto con Laetitia Casta. Niente di indimenticabile, per carità. Anzi. Le canzoni francesi hanno annoiato persino il più nostalgico accordeoniste di Montparnasse. Gestisce abbastanza bene il momento di panico della protesta dei due lavoratori precari all’inizio della serata. Ma Pippo, ah, quando c’era lui!, li avrebbe accolti tra le sue lunghe e rassicuranti braccia.
Raffaella Carrà – 8,5
La Raffa è come la squadra del cuore. Non si discute, si ama. Presenza dirompente, prestanza fisica da Highlander della tv. Unico neo: la canzone scritta da Gianna Nannini è dimenticabilissima. E va bene tutto, cara Raffa, ma le brugole attaccate al collo anche no.
Perturbazione – 8
Arriva la band indie per solleticare il pubblico meno commerciale, e i Perturbazione che fanno? Ti piazzano gli unici due pezzi veramente pop della serata. Due bei pezzi, peraltro. Freschi, intelligenti, coinvolgenti. Una boccata d’aria.
Raphael Gualazzi & The Bloody Beetroots – 7
Bravo, come al solito. Timido, come al solito. Due bei pezzi, con il tocco di The Bloody Beetroots che c’è e si sente, anche se non quanto avremmo voluto. Per fortuna il turno lo passa la canzone più originale e più contaminata dallo splendido sound elettronico di The Bloody Beetroots. Un papabile per la vittoria finale.
Antonella Ruggiero – 6,5
Un’eleganza che tramortisce. Una voce ancora cristallina e originale. Ritorno graditissimo per una signora della canzone fin troppo schiva, e forse per questo non apprezzata dal grande pubblico quanto meriterebbe. Le canzoni non sono niente di eccezionale, purtroppo, ma Antonella Ruggiero è tornata. E non è poco.
Arisa – 5,5
Più che un’evoluzione artistica e di stile, ormai la parabola di Arisa somiglia a un percorso a tentativi. Prima la nerd timida e goffa di Sincerità, poi la donna cresciuta ed elegante di due anni fa, oggi una ragazza più smaliziata, anche nell’abbigliamento. La sua voce è pulitissima, quasi troppo. E le canzoni, ahinoi, sono al di sotto delle attese.
Cristiano De Andrè – 7
Per la prima volta canta la difficoltà di portare un cognome così pesante, e la resa sul palco è emozionante. Superata la boa dei 50 anni, sembra finalmente essere arrivato alla piena maturazione artistica. Se si chiamasse Rossi, Bianchi, Brambilla o Esposito, sarebbe tra i più acclamati cantautori della musica italiana di oggi.
Frankie Hi-Nrg – 6
Nell’epoca degli Emis Killa e dei Moreno, Frankie Hi-Nrg è una certezza. “Il padre dell’hip hop italiano”, come ha ricordato giustamente Fazio, torna all’Ariston con il testo forse migliore dell’anno. Pedala, la canzone che ha passato il turno, ha sprazzi di consueta genialità.
Giusy Ferreri – 4,5
Dopo qualche anno di silenzio, ci si aspettava qualcosa di più. La raucedine non aiuta, ma nemmeno le canzoni, purtroppo per lei.
Ligabue – non classificato
Bella l’idea dell’omaggio a De Andrè. Ma in un repertorio infinito di capolavori, era proprio il caso di scegliere Creuza de ma, in dialetto genovese? Se sei di Correggio, e sei di Correggio, non ti avventurare così tanto. Anche perché la resa finale, sul palco, denota tutte le difficoltà del caso.
Laetitia Casta – 6,5
In quindici anni ha imparato a canticchiare. E chi ricorda le stecche spaventose del Ti amo datato 1999, sa a cosa ci riferiamo. Nello sketch con Fazio doveva fingere di annoiarsi. Non si deve essere sforzata più di tanto. Bella è sempre bella, ma quest’anno abbiamo notato qualcosa che la rende ancora più bella: qualche piccola rotondità umana, deliziosa e naturalissima. A proposito di Grande Bellezza.