Il procuratore di Palermo critica le parole del consigliere Maurizio De Lucia che ha avanzato dubbi sul processo in corso nel capoluogo siciliano. Il magistrato parla di "rischio delegittimazione e di ingerenza che sorprende"
Continua l’onda lunga delle polemiche innescate dal rapporto annuale della Direzione nazionale antimafia, che ha espresso dubbi sul reato (violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario) su cui si regge il processo di Palermo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. Non usa mezzi termini il procuratore del capoluogo siciliano, Francesco Messineo che parla di “indebita ingerenza su un processo in corso e delegittimazione dei pm, col rischio per la loro sicurezza”.
Ma per il magistrato palermitano, intervistato della trasmissione “A Ciascuno il suo”, su Radio24, a mettere a rischio la legittimità dei pm non sarebbero solo le parole espresse nel documento dal consigliere Maurizio De Lucia. Anche i giudizi di due studiosi, lo storico Salvatore Lupo e il giurista Giovanni Fiandaca, nel saggio “La mafia non ha vinto” (edito da Laterza), minano l’autorevolezza dei magistrati impegnati in un processo che vede sul banco degli imputati politici, investigatori di alto livello e boss mafiosi. Già seriamente minacciati dalle parole del capo dei capi, Salvatore Riina che si è scagliato contro Nino Di Matteo durante i colloqui nel carcere milanese di Opera con l’ambiguo detenuto Alberto Lorusso. “Le due cose – dice ancora il procuratore – sembrano coincidere verso lo stesso punto, anche se non c’è un nesso. Di sicuro non sono incoraggiamenti, ma non ci facciamo impressionare”.
Sui dubbi mossi dalla relazione della Dna, Messineo osserva: “Le argomentazioni mi hanno sorpreso, perché una discussione su un processo in corso non rientra tra i compiti della Direzione nazionale antimafia. Criticare pubblicamente l’operato dell’ufficio dei pm – prosegue Messineo – è qualcosa che sorprende. Non c’è dubbio che additare i magistrati come coloro che fanno qualcosa di sbagliato in un ambiente come quello siciliano è una forma di delegittimazione e non contribuisce alla sicurezza degli stessi magistrati. Ma siamo in presenza di legittime opinioni: sia quelle dei professori che quelle della Dna. Il mio timore è che possano influire sui giudici che devono pronunciarsi sul processo. Si entra pienamente nel processo”.
Subito dopo l’uscita della relazione annuale della Dna si era accesa la polemica tra l’organismo nazionale e la procura di Palermo. Il pm Di Matteo ha parlato di “entrata a gamba tesa”, ma il capo dell’antimafia, Franco Roberti, ha assicurato: “Nessun intento critico nei confronti della Procura di Palermo può e deve essere letto”, la Dna, ha precisato Roberti, “senza volersi ingerire nelle scelte processuali, ha inteso soltanto evidenziare la complessità del processo – certamente di maggiore interesse attuale per l’opinione pubblica – in relazione alle inedite problematiche giuridiche e fattuali che esso presenta”.