Cinema

12 anni schiavo, McQueen tenta la sintesi delle visioni di Tarantino e Spielberg

L’intenzione, e l’ambizione, del regista inglese è di fare della pellicola la sintesi dei due predecessori che hanno affrontato il tema dello schiavismo con Django Unchained e Lincoln. L'opera è candidata a 9 premi Oscar: non vincesse, dopo l’esclusione di The Butler e Fruitvale Station, l’era Obama sarebbe finita. Almeno a Hollywood

di Federico Pontiggia

Metà 800, l’afroamericano Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor) nasce libero nello Stato di New York, viene rapito, venduto al mercante di schiavi Freeman (Paul Giamatti), imbarcato per la Louisiana, rivenduto a due latifondisti, prima William Ford (Benedict Cumberbatch), poi Edwin Epps (Michael Fassbender). 12 anni schiavo è la trasposizione della sua autobiografia, quella di un uomo libero ridotto a merce: non è (solo) il razzismo, il cuore del terzo lungometraggio di Steve McQueen è lo schiavismo, ed è affare economico e giuridico, non mero pregiudizio e avversione razziale, cui Hollywood ha dedicato chilometri di pellicola.

Già, lo schiavismo è materia scomodissima, approdata sullo schermo solo di recente: Lincoln e Django Unchained. Se Tarantino ha optato per la blaxploitation e l’affrancamento – sociologico, non psicologico – a mano armata del singolo (Jamie Foxx), Spielberg ha messo a fuoco la legiferazione dell’abolizione, ma senza puntare sulla scrittura , sulle carte, bensì sui retroscena “di palazzo” e la (stracca) aneddotica lincolniana, l’oralità. L’intenzione, e l’ambizione, di McQueen di fare di 12 Years a Slave la sintesi dei due predecessori è cristallina, sin dal titolo: “12” è vergato mano, con quell’inchiostro di mora impiegato da Solomon per le proprie memorie, e sta per la prima persona singolare di Django; “Years a Slave” è stampato in caratteri dell’epoca, e sta per il sistema abolizionista di Lincoln.

Come già in Hunger – Bobby Sands imbrattava di merda i muri della cella – e Shame, dove il regista era penna e Fassbender inchiostro della sessodipendenza, quello di McQueen è cinema di scrittura per definizione, eppure qualcosa non torna: se la sua regia, mutuata dalla videoarte, tratteggia sempre minuziosa rumori e suoni ambientali, le righe bianche stanno altrove. Affidandosi alle memorie di Northup, si scontra tra il desiderio di una narrazione onnisciente – “Ecco, ve la do io la schiavitù!” –e un narratore che, all’opposto, è forzatamente passivo e incarna una funzione spettatoriale. In effetti, Solomon finisce per agire a metà tra i bianchi e i fratelli di schiavitù: se la figura dell’house nigger kapò (Samuel L. Jackson in Django) sintomaticamente qui manca, Solomon ha competenze bianche – parla e scrive un inglese forbito che deve occultare, suona il violino – e mansioni bianche, ovvero è costretto a frustare a sangue Patsey (Lupita Nyong’o) al posto di Epps. Quest’ultima scena ha fatto parlare negli States di torture porn, viceversa, stigmatizza il nervo scoperto di McQueen: non bastano il tormentato aguzzino Fassbender, l’ambiguo Cumberbatch – colpevolmente abbandonato – e il bifolco cattivo Paul Dano per dire la schiavitù, serve l’homo homini lupus – i negri per i bianchi erano bestie – e, in definitiva, il sadomasochismo, già leitmotiv del regista.

Altre due le scene dirompenti (il mercanteggio di Freeman, il sesso “estorto” a Solomon da Patsey), ma per il resto 12 anni schiavo non scrive sistematicamente la schiavitù, solamente ne illustra sul volto-specchio di Solomon l’orrore, in verità, trattandola come razzismo, crudele idiosincrasia del singolo: analogamente, la soluzione è personale, sta nel “carpentiere di buon cuore” (press-book) Samuel Bass, con cui il produttore Brad Pitt – guarda caso – si ritaglia il ruolo del bianco buono. La scrittura, la pastorale di un’infamia americana, ritorna solo nei cartelli finali, che svelano l’epilogo di Solomon: titolo e cartelli, appunto, ma in mezzo Steve McQueen si riscopre “analfabeta”. Sì, il cinema americano è ancora schiavo dello Nyong’o, Sarah Paulson, Brad Pitt schiavismo.

PS: Già pluripremiato, 12 anni schiavo è candidato a 9 premi Oscar: non vincesse, dopo l’esclusione di The Butler e Fruitvale Station, l’era Obama sarebbe finita. Almeno a Hollywood.

Il trailer di 12 anni schiavo 

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