Docente universitario e più volte assessore alla Cultura con Rutelli e Veltroni sindaci della capitale, era personalità eclettica e curiosa. Aveva 67 anni
Parafrasando Pippo Baudo, il Festival di Sanremo poteva perfino averlo inventato lui. Gianni Borgna, scomparso questa notte dopo una lunga malattia all’età di 67 anni, era per la kermesse nazionalpopolare della città dei fiori una rigorosa vestale. Fin dal 1980 il professore universitario che insegnava Storia e critica del cinema, poi Sociologia della Musica tra La Sapienza e Tor Vergata, aveva concesso al festival della canzone italiana prima l’onore di un accostamento pericoloso all’interno di una ingessata cultura di sinistra sui fenomeni nazionalpopolari, poi ne aveva consacrato il valore storico-politico elevandolo al pari del calcio o del neorealismo cinematografico.
Tanto che il suo primo saggio sul tema s’intitolava “La Grande evasione, Storia del Festival di San Remo – 30 anni di costume italiano”, poi dopo un’eccellente volume “Storia della canzone italiana”, ecco la consacrazione nel 1998 con il libro edito da Mondadori “L’Italia a Sanremo: cinquant’anni di canzoni, cinquant’anni della nostra storia”. In molti ricordano l’analisi sociologica del docente sul fenomeno musicale di massa che ipnotizza gli italiani ogni metà febbraio, in tanti ne accostano i presupposti teorici anche alla sua robusta e duratura presenza nelle amministrazioni capitoline come assessore alla cultura dal 1993 al 2006 ininterrottamente sotto le giunte Rutelli e Veltroni. Così se un altro assessore alla cultura di Roma come Renato Nicolini, scomparso nel 2012, tra il 1976 e il 1985 si era inventato l’Estate Romana, con la regia dei sindaci Argan e Petroselli, a Borgna, quasi coetaneo di Nicolini, è toccata in sorte la successiva ondata culturale progressista della capitale, quel veltronismo che aveva sdoganato politicamente fenomeni culturali nazionalpopolari tendenti ad essere circoscritti come manifestazioni culturali meno di qualità, quindi di destra.
Eppure Borgna era personalità eclettica e curiosa, dedita ad una trasmissione del sapere e della cultura quasi senza freni. Le attività istituzionali rimangono nei curriculum generici di Wikipedia, ma nel quotidiano l’ex assessore alla cultura si cimentava anche in spettacoli teatrali divulgativi – vedi le lezioni concerto di Cantando sotto la storia – o nella regia cinematografica. Nel 2008 girò un documentario misconosciuto come “Città aperta. Vita culturale a Roma dal ’44 al ’68”, una vera e propria enciclopedia della cultura popolare della capitale. Nel film c’è la Roma alta e bassa, ci sono le dispute intellettuali sull’arte, Flaiano e Fellini, Guttuso, la Magnani e Fabrizi, le osterie e i salotti perbene, la Hollywood sul Tevere, la Dolce Vita e il Gruppo ’63. E ancora su quel crinale tra destra e sinistra dell’accettazione di un fenomeno storico/culturale controverso ecco il libro su Pasolini scritto a quattro mani con Adalberto Baldoni: “Una lunga incomprensione. Pasolini tra destra e sinistra”. Sempre su Pasolini si cimenta pure, assieme a Carlo Lucarelli nel 2005, nella controinchiesta pubblicata su Micromega dove si torna a parlare della morte del poeta bolognese: “E’ palese che si è trattato di un delitto di gruppo, e premeditato”, spiegò. “Resto convinto che sia plausibile anche una chiave politica, legata al romanzo che Pierpaolo stava scrivendo, Petrolio, in cui le sue accuse al sistema erano collegate al caso Mattei. Ma di questo non abbiamo trovato prove inconfutabili”.