L'Agenzia interregionale per il fiume Po ha dovuto dare spiegazioni alla Regione sulla presunta malagestione dell'esondazione di metà gennaio. Il direttore Fortunato: "Non è colpa delle nutrie. Ma è accaduto un fatto che non potevamo immaginare. Il nostro vero problema è la mancanza di risorse"
La rottura di una porzione dell’argine destro del fiume Secchia, che il 19 gennaio scorso ha dato il via a un’alluvione da 400 milioni di euro di danni nella provincia di Modena, “non era prevedibile”. Punta il dito contro l’insufficienza delle risorse destinate alla tutela del territorio e si difende dalla “baraonda mediatica” che “con straordinaria rapidità e sicurezza ha individuato in Aipo il responsabile di quanto avvenuto”, Luigi Fortunato, direttore dell’Agenzia interregionale per il fiume Po, nel corso dell’audizione convocata dall’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna. Presenti anche l’assessore alla Protezione Civile Paola Gazzolo, e Alfredo Peri, assessore regionale alla Programmazione territoriale ma anche ex presidente dell’Aipo, nonché attuale membro del comitato di indirizzo dell’agenzia in rappresentanza dell’Emilia Romagna.
“Come dimostra la documentazione raccolta nel modenese”, mentre la popolazione si dava da fare per liberare le proprie case dal fango, sottolinea Fortunato, “il 19 gennaio è accaduto un fatto che a nostro modo di vedere non era prevedibile, e che non dovrebbe presentarsi nell’ambito di una rete di difesa idraulica che protegge un territorio come quello modenese”. “Non è possibile – spiega il numero uno dell’Agenzia, a cui in più di un’occasione sono state chieste le dimissioni proprio a causa del disastro provocato dall’alluvione – garantire che eventi simili non si verifichino, sarebbe un po’ come chiedere al capo della polizia di una metropoli che non ci siano più reati: i fenomeni naturali sono vari e imprevedibili”.
La responsabilità, è il ragionamento dell’Aipo, va ricercata in primo luogo nelle “risorse” a disposizione dell’agenzia, “insufficienti”, secondo il direttore dell’ente, su più livelli: finanziarie, umane e normative. “Oggi la rete idrografica si trova in una situazione per cui esiste un controllo diffuso, regolare, sostanzialmente competente anche se non ottimale”: “Aipo – prosegue Fortunato – non ha autonomia di bilancio, quindi non può disporre, al di là della manutenzioni per cui le somme sono limitate, di fondi per interventi strutturali, se non in situazioni particolarmente eccezionali. Noi siamo soggetti gestori e attuatori, quindi operiamo in relazione alla programmazione”.
Che comunque, è ciò che ammette Francesco Puma, Segretario Generale dell’Autorità di bacino del fiume Po, pur prevista a cadenza triennale dal decreto 152 del 2006, “la programmazione non è stata più svolta dal 2001”. Tanto che, spiega Puma, per quanto riguarda la gestione del rischio residuale, il rischio cioè che corrono gli insediamenti abitativi situati nei pressi degli argini, “abbiamo un livello di protezione, ma funziona solo fino a un certo punto”.
Discolpate le nutrie, imputate in prima analisi da Aipo come corresponsabili del disastro, “sono più pericolosi – dice Fortunato – gli animali che fanno tane più ampie e soprattutto ‘passanti’, cioè con un’uscita sia a fiume, sia a campagna”, il punto su cui intervenire è quello dei finanziamenti statali. “La manutenzione – spiega Aipo – viene fatta solo sulle opere idrauliche perché per intervenire sull’alveo di un fiume servono progetti, e i costi sono molto diversi. Spendiamo 18 milioni solo per agire sugli argini, e lavorare su 1 chilometro di alveo costerebbe tra i 500 mila e il milione di euro. I fondi, a oggi, sono insufficienti, del resto è dal 2004 che segnaliamo le criticità legate alla sicurezza idraulica, bisogna smetterla di stupirsi: la verità è che sulla difesa del suolo nessuno investe, e passata qualche settimana”, è l’attacco rivolto ai consiglieri regionali presenti in aula, “anche voi smetterete di preoccuparvene. Nel momento in cui bisogna allocare risorse la politica nazionale fa delle scelte, è meglio la sanità, o le autostrade. Questo è l’effetto”.
Sull’alluvione spetterà alla magistratura fare luce. Sarà infatti la Procura di Modena, che ha aperto un fascicolo contro ignoti e che negli scorsi giorni ha inviato la Forestale ad acquisire documenti nella sede locale dell’Agenzia per il Po, a individuare le cause della rottura dell’argine del Secchia in località San Matteo, con conseguente fuoriuscita d’acqua e danni per 1.800 aziende, alcune già terremotate. Ferma rimane tuttavia, da parte della Regione, la volontà di “riformare Aipo”, “che – sottolinea Peri – anche quando lavora al massimo proprie capacità non funziona”. “Le autorità – chiarisce Silvia Noè, capogruppo Udc in Regione – non hanno collaborato con chi, vivendo in quelle zone, ha sollecitato più volte, anno dopo anno, la necessità di intervenire. Non hanno ascoltato la popolazione”.
Quegli stessi cittadini che, “in attesa che venga fatta chiarezza”, manifesteranno il 22 febbraio prossimo proprio sotto alla sede dell’Aipo di Modena, per chiedere risarcimenti al 100% sui danni provocati dall’alluvione. “L’Agenzia per il Po – è l’opinione dei comitati ArginiaMo e Alluvionati incazzati, organizzatori della protesta – non è l’unico responsabile del disastro. Ma è un chiaro esempio di mala gestione dei fondi pubblici”.