A mente fredda, due aspetti dello spettacolino di ieri mi hanno colpito. Il primo è che Matteo Renzi, che pure passa per essere un buon comunicatore, non si era preparato, e sembra essere stato colto di sorpresa da un evento inevitabile come la pioggia d’inverno.

Il secondo è che nel comizio tenuto in sala stampa da Beppe Grillo si è riaffermato in tutta la sua evidenza uno dei paradossi più emblematici non solo della vicenda politica del Movimento 5 Stelle ma anche dell’arretratezza tecnologica e politica del nostro paese.

Mi riferisco alle sciocchezze pronunciate, per l’ennesima volta, sull’intelligenza collettiva della rete. “Noi mettiamo una legge per due mesi in rete, e la gente competente va lì e ci dà dei consigli, quando mettiamo i consigli dentro la legge, allora la proponiamo in Parlamento”.
Come fosse vero. Come se sul blog davvero partecipassero delle menti da Nobel, come più volte sostenuto dal capo. Come se si trattasse di un forum di discussione serio, moderato ed equilibrato, in cui autentici esperti si confrontano in modo paritario con la sterminata platea di visitatori e simpatizzanti che affollano il blog.

Intendiamoci, non è solo colpa di Grillo o dei suoi attivisti se il blog non funziona così. È che non può funzionare così. Perché, ovviamente, i temi su cui si fanno le leggi sono troppo complessi perché sia possibile discuterli fruttuosamente in un post e nei suoi commenti. E, salvo fortunate eccezioni, un qualsiasi esperto non può trarre alcun beneficio dal confronto, sregolato e spesso viscerale, con una platea di milioni di lettori che del tema in questione si informano al più con una ricerca di pochi minuti su Google, e intervengono semplicemente perché passano di là nella pausa caffè.

In un luogo, il blog di Grillo, dove per giunta i visitatori più assidui sono stati ‘addestrati’ alla reazione di pancia contro qualsiasi opinione avversa, e dove gli insulti sono, a volte, una conseguenza naturale dei toni del dibattito. Come accade proprio oggi, con la messa all’indice (opportunamente provvista di foto segnaletica) dei senatori che hanno osato esprimere perplessità per il modo in cui sono state gestite le consultazioni.

È possibile che un tale laboratorio sia in grado di produrre delle risposte, perfino delle leggi, per il paese? Naturalmente no. Ma Grillo ritiene comunque fruttuoso coltivare il mito dell’intelligenza collettiva (che in parte esiste, ma certo non ha nulla a che fare con l’esperienza politica del leader del M5S) e il rifiuto ostinato di ogni forma di complessità presso i suoi (e)lettori.

Il punto è che Grillo e i suoi accoliti più sfegatati, proprio loro, non hanno la benché minima idea di che cosa sia la rete, di come funzioni, di come ci si deve stare, di che cosa ci può e non ci può dare. La “rete” di Grillo (che poi, va detto, è solo un blog, non certo la rete intera) poteva affermarsi come novità solo in un paese tecnologicamente arretrato e politicamente statico e degradato come l’Italia.

Ma in realtà il sacro blog è solo la rimasticatura di qualcosa di vecchio, che ripropone arcinote strutture gerarchico-feudali all’italiana. Uno strumento usato per controllare i propri seguaci, anziché per diffondere conoscenza, cultura e informazione.

Grillo insomma usa il suo pezzettino di rete come fosse la televisione, con tanto di pubblicità e televoto. Anni fa il blog e i suoi commentatori sembravano una novità promettente. Ora sono solo una retroguardia antiquata e irrancidita.

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