A volte sarebbe stato meglio non averle viste certe cose. A guardarle, ci si sente con quel filo di depressione che ti lascia da solo davanti ai problemi. Credo che sia successo oggi a parecchi italiani che hanno seguito le consultazioni e lo scontro tra due leader che hanno i due terzi dei consensi del Paese. Il terzo (B.) era passato dal Palazzo in mattinata lasciando un alone di mistero su 5 minuti passati in solitario con Renzi e la sua interdizione fuori dal palazzo sul selciato.
Insomma siamo proprio un Paese in bilico, depresso, e senza una spina dorsale che ci sorregga. I tre terzi, i tre leader, giocano a diventare due, in un bipolarismo che in alternanza dovrebbe garantire cosa? L’uscita dalla crisi? Lo ha detto Grillo con chiarezza: il fiscal compact comporterà manovre da 50 miliardi all’anno. L’Europa? Sta lasciando morti nelle piazze per l’entrata, ne lascerà altrettanti per l’uscita? Sembra scomparso il “buon senso”. Sembra svanito nel nulla, o forse si nasconde proprio tra i cittadini che ancora restano ubbidienti al “mastica e sputa” del grande Fabrizio (che è la colonna sonora di questo pezzo).
Tre leader, tre Italie, che non si incontrano e che bisogna spingere in un imbuto precostituito dal quale ne possono uscire solo due: una che vince ed una che perde. Ma intanto sono tre e finché l’imbuto non è pronto rimarranno tali in un’eterna incomunicabilità ed in una condizione angosciante. Tutti e tre i leader hanno una caratteristica comune: un difetto di gradibilità. Attenti non di credibilità bensì di gradibilità. Uno è allergico al dialogo e mira al 51% che non arriverà mai, ma provocherà comunque un 49% di cui dovrà comunque tener conto, a meno che poi non si dica che serve il 100%. L’altro, il giovane, è percepito come uno Zelig che somiglia all’uno ed all’altro ad intermittenza, ma non riesce ad essere la sintesi dei due e si trova vagante come l’androgino di Platone piangente fino a che non avrà trovato la parte con la quale combacia a perfezione… ed allora sarà amore. Il terzo, lo conosciamo bene e lo abbiamo subito per vent’anni e ci ha portati dritti dritti qui dove siamo.
Certo, forse è meglio non vederle certe cose, ed anestetizzarsi con la banalità di Sanremo. Ma per strada non c’è uno spettacolo bello a vedersi. Negozi chiusi, ragazzi senza lavoro, tutto sembra fermo e bloccato ed un camera car di capannoni abbandonati racconta meglio di tutto “La Grande Tristezza” dell’Italia di oggi. Ma forse è solo colpa della diretta streaming che ricorda più gli incubi che i sogni. E poi credo anche che porti male, vista la fine che hanno fatto gli ultimi due che vi si sono sottoposti. Queste dirette sono come quella brutta colonscopia che il sistema si fa e dalla quale scopre di avere un male inguaribile.