Avvocati emiliani in stato di agitazione per la decisione della Corte d'Appello di Bologna e del Tribunale che vorrebbero dare priorità ai procedimenti non a rischio prescrizione entro 15 mesi
Il problema è sempre quello: poche risorse a disposizione degli organismi giurisdizionali, troppi processi pendenti e personale insufficiente. Ma è sulla soluzione adottata per sopperire alle carenze che affliggono il sistema giudiziario italiano che la Corte d’Appello e il Tribunale di Bologna, da un lato, e le Camere penali dell’Emilia Romagna, dall’altro, non concordano. Alla base della spaccatura tra avvocati e magistrati, infatti, ci sono i provvedimenti siglati dal presidente della Corte d’Appello di Bologna, Giuliano Lucentini, e dal presidente del Tribunale del capoluogo, Francesco Scutellari, che vorrebbero smaltire “l’enorme mole”, si legge nei due testi, di processi penali arretrati tenendo conto, tra i criteri di priorità, anche dei termini di prescrizione dei reati. Favorendo, insomma, i procedimenti non a rischio prescrizione entro 15 mesi.
Provvedimenti che per le associazioni dei legali penalisti di tutta la regione, però, “mascherano un indulto o un’amnistia, che invece di essere decisi dallo Stato, vengono approvati direttamente dai magistrati”. Tanto che il 10 febbraio scorso, attraverso una delibera firmata dai presidenti delle Camere penali di tutte le provincie emiliano romagnole, gli avvocati hanno dichiarato lo “stato di agitazione”, “pronti – spiegano – ad assumere ulteriori provvedimenti” qualora non ci fosse un passo indietro.
La situazione che ha portato la Corte d’Appello di Bologna ad approvare il documento contestato dagli avvocati emiliano romagnoli la descrive Lucentini, nel provvedimento del 29 ottobre 2013: “Le piante organiche degli uffici di cancelleria della Corte presentano rilevantissime scoperture, addirittura superiori al 20%”. A fronte di questa carenza di risorse, umane e non solo, si legge nella nota, “davanti alle sezioni penali della Corte pende un enorme numero di processi, pari, con riferimento alla data del 30 giugno 2013, a 17.082: numero di non molto inferiore alla somma di tutti i processi dibattimentali pendenti davanti ai tribunali del distretto”.
Arretrati, per così dire, a cui le sezioni “non sono assolutamente in grado di far fronte”, anche perché, dicono i dati della Corte stessa, “secondo una tendenza ormai costante, a fronte di 7.242 processi pervenuti dall’1 luglio 2012 al 30 giugno 2013, le definizioni sono state 5.885”. Un divario enorme, che per la Corte e per il Tribunale di Bologna, che a sua volta ha varato un piano di “snellimento” per i processi pendenti, il decreto 121 del 12 dicembre 2013, può essere risolto in maniera “efficiente” solo limitando l’afflusso in Corte dei processi a rischio prescrizione, “essendo più utile – scrivono gli organi giurisdizionali – che (i magistrati di primo grado, ndr) rivolgano il proprio impegno lavorativo ai processi non destinati a pressoché certa prescrizione in appello”. Un elenco di reati da considerare prioritari, ma la lista può variare da città a città a seconda di come il provvedimento viene varato, è iscritta nel documento siglato dal Tribunale di Bologna. Sono da considerarsi prioritari, scrive Scutellari, “i procedimenti ove vi è stata costituzione di parte civile, per violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia, stalking, bancarotta con danno patrimoniale di rilevante entità, per i delitti in materia di risparmio e di credito sanzionati con almeno 4 anni di reclusione, per estorsione e rapina in danno di soggetti deboli, in cui imputato sia un pubblico ufficiale, per reati derivanti da colpa medica e per quelli derivanti da infortunio sul lavoro”.
Per tutti gli altri, stabiliscono quindi i due organi giurisdizionali, “ove la sentenza di primo grado intervenga a meno di 14/15 mesi dalla prescrizione (…) i giudici delle sezioni dibattimentali fisseranno udienza di trattazione oltre la maturazione del termine di prescrizione”. Così, automaticamente, il reato si estingue. Ma di opinione diversa sono gli avvocati delle Camere Penali dell’Emilia Romagna, sul piede di guerra da quando i provvedimenti – quello della Corte d’Appello che entrerà in vigore l’1 marzo mentre quello del Tribunale è immediatamente esecutivo – sono stati varati. “Siamo contrari per via dell’eccessiva discrezionalità nell’applicare il diritto penale, che peraltro comporta soluzioni clemenziali a prescindere dalla normativa vigente”, sottolinea Nicola Mazzacuva, presidente della Camera penale di Bologna. “Il problema che si evidenzia è di carattere generale, pertanto la risposta non può essere un federalismo giudiziale. Parliamo di scelte di politica criminale che spettano al legislatore, deve essere il Parlamento a intervenire, non la magistratura”.
“Conosciamo bene la situazione di criticità evidenziata a Bologna, che in realtà riguarda tutta l’Italia – precisa Alessandra Palma, presidente della Camera penale di Ferrara – non può essere, però, il singolo tribunale a decidere che se un procedimento di primo grado da qui a 15 mesi si prescrive, il giudice deve rinviarlo così che vada automaticamente in prescrizione. Bisogna pensare ai cittadini, che per altri 15 mesi devono pagare le spese processuali, alle persone offese, che almeno in primo grado dovrebbero poter vedere una sentenza. In più si genera il caos perché ogni circondario può decidere quali reati perseguire e quali no: a Bologna il processo per un reato può essere abbandonato mentre a Rimini quello stesso processo potrebbe andrebbe avanti. Così è federalismo giudiziario, nonché una violazione dei principi giurisdizionali. E’ un indulto, o un’amnistia mascherata”.