Dal nuovo Presidente del Consiglio filtrano alcune buone notizie sulla volontà di proporre all’Europa una profonda riforma dell’Euro. All’uopo Renzi – secondo indiscrezioni di stampa – vorrebbe sfruttare la prossima Presidenza italiana dell’Unione Europea. Se fosse vero, il Governo italiano sarebbe il primo ad interpretare la Presidenza di turno dell’Unione come un’occasione di leadership non meramente formale, il primo a portare al livello intergovernativo le proposte di quegli economisti che hanno previsto correttamente la gravità della crisi europea e ne hanno da tempo indicato i rimedi.
Si tratta tuttavia di sfide altissime: non a caso finora nessuno ci ha provato. Come ha scritto ieri Roberto Napolitano sul Sole 24 Ore, vanno preparate con meticolosità. Non dovremmo mai scordare la lezione di Machiavelli sull’importanza dei rapporti di forza, e sul pericolo rappresentato dai profeti disarmati allo sbaraglio: senza mezzi proporzionati alle ambizioni causano “la ruina” dello Stato. In Europa serve un Borgia, non un Savonarola: “Siate semplici come colombe, prudenti come serpenti!”.
La natura della sfida è innanzitutto tecnica. L’economista top del momento ha appena diffuso in rete uno studio sulle riforme minime necessarie per rendere l’Euro funzionale: esse occupano non meno di settanta pagine! Renzi vorrebbe abolire il limite del deficit pubblico al 3% del Pil: posizione saggia quando si è in recessione come adesso, meno quando si è in piena occupazione; su questo pochi sono in disaccordo.
Ma una riforma tiene l’altra: una singola modifica non regge da sola; occorre cambiare l’intero paradigma. Per fare ciò occorreva un Ministro dell’Economia orientato in tal senso e con una visione adeguata, non un altro sostenitore della linea Monti-Letta-Saccomanni-Draghi-Merkel. Padoan è invece un esponente di quella sinistra che ha perso le radici e l’anima: infatti, era l’alternativa a Saccomanni nel Governo Letta. Da chief economist dell’OCSE ha sostenuto la stupida austerità e il paradigma vigente. Speriamo che ci sorprenda, ma non ci scommetterei.
Un esempio della necessità di una riforma sistemica dell’Euro lo dà il nostro top economist a pag. 17: “L’aumento dei tassi nel 2011 indicò che la BCE considerava eccessiva la pressione della domanda aggregata sui prezzi; in altre parole, la disoccupazione non era abbastanza elevata da contenere adeguatamente i rischi di inflazione. Ne consegue che se la depressione in quella fase fosse stata meno grave, la BCE avrebbe alzato ulteriormente i tassi, per riportare la domanda e la disoccupazione sul trend effettivamente registrato nel 2011-12”. Se cioè i governi avessero fatto meno austerità la BCE avrebbe compensato, annullando i vantaggi di crescita.
Oltre alle difficoltà ‘tecniche’ ci sono enormi difficoltà diplomatiche: perché l’Europa (in particolare la Germania e la BCE) sono determinatissime a contenere l’offensiva di Renzi, ed anzi ad utilizzarla a proprio vantaggio per rafforzare la presa ferrea del liberismo sulle nazioni europee, offrendo allentamenti congiunturali in cambio di un ulteriore indurimento delle stupide regole depressive. Ma per avere anche solo qualche possibilità di vincere la sfida diplomatica contro l’autolesionismo europeo occorre, oltre a un Parlamento Europeo rinnovato e solidale, una solidarietà non formale di Obama, una disponibilità di Francia e Spagna, anche un Presidente del Consiglio con una chiara visione di dove vuole arrivare e come, un Ministro dell’Economia in piena sintonia, e un paese compatto, in grado di resistere ai possibili tentativi di destabilizzazione dall’estero.
In mancanza di queste condizioni, continueremo a viaggiare sul crinale di un piano inclinato, da cui non ci sottrae una lentissima ripresa, mentre la fuga dei giovani minaccia di rendere alla lunga insostenibile il welfare e il debito pubblico. E però, anche se a molti lettori non piacerà, non possiamo non sperare nel successo di Renzi.