Ho scoperto il Banco per puro caso: la mia ex voleva vedere Finardi al Regio di Parma, salvo poi scoprire che faceva da spalla per qualche pezzo a un gruppo, che non avevo mai visto prima. La mia ex era incazzata come un drago, io ero al settimo cielo: avevo conosciuto il Banco del Mutuo Soccorso. Anni fa avevo ottenuto un permesso di uscita anticipata dalla fabbrica dove lavoravo come operaio. Solo, andai in un paesino in provincia di Modena, col terrore di arrivare tardi. La piazza era ancor vuota, come il palco. Vedo aggirarsi Vittorio Nocenzi, gli chiedo se dopo il concerto posso fare due chiacchiere con loro, mi risponde gentile che mangeranno lì a fianco, dove ci sono quei tavoli. La piazza si riempie. La musica e la voce di Francesco Di Giacomo… Termina il concerto che non sto nella pelle. Vedo la piazza svuotarsi, restano le cartacce, arrivano i netturbini, poi solo io.

È l’una, passa Vittorio, mi avvicino, mi sorride e mi fa accomodare con loro. Mi chiedono cosa voglio da mangiare, non ho fame, sono felice. Riesco a dire che quel sigarillo che Vittorio tiene in bocca durante il concerto sembra cadere da un momento all’altro e invece da trent’anni è ancora lì. Mi pare una bella metafora “È liquirizia”, mi dice lui. Osservo Rodolfo Maltese, Vittorio, Francesco. Non ci credo! La mattina dopo sono di nuovo in fabbrica, ne parlo coi colleghi, mi guardano come un marziano. Ma che glielo dico a fare. 

“Andiamo a Fidenza? – dico a una ragazza – c’è il Banco del Mutuo Soccorso!” e lei: “È una trattoria?”. Non le ho mai portato rancore per l’affronto, anzi: ci siamo sposati e oggi abbiamo due figli. L’ho perdonata. Qualche anno fa a Zagarolo, in un bellissimo palazzone, arriviamo per lavoro, sotto una pioggia che spara chiodi e un vento che sputa saette. Dal palco vedo lui, seduto tra le prime file, Francesco Di Giacomo e quando finiamo facciamo due chiacchiere, gli racconto di come la mia vita abbia avuto la sua voce come colonna sonora (gli dico anche di mia moglie, ridiamo), mi parla di Bella Ciao, di una balconata di paese, di un 25 aprile e di quei fiori che venivano giù cantando con la gente. Non ho una foto di quel momento, ricordo la felicità, nella foto non ci entrava, ne sono sicuro. Non è vero che se ne vanno sempre i migliori, perchè i migliori si possono cantare, magari non con quella voce lì, che non si può avere tutto, ma si possono cantare sempre. E Francesco canta “non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno…” ed io lo ascolto ancora.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Governo, 5 ministri emiliani. All’Ambiente il casiniano che voleva il nucleare

next
Articolo Successivo

Reggio Emilia, La Tarma racconta il suo nuovo album: “La musica è istinto”

next