Resta da capire come giustificherà, Giorgio Napolitano, il veto sul nemico numero uno della ‘ndrangheta, il pm Nicola Gratteri. Che fino a pochi minuti prima dell’incontro tra Matteo Renzi e il presidente della Repubblica, aveva in tasca il ministero della Giustizia (vedi foto). Un incarico che l’entourage del premier aveva confermato per telefono al magistrato calabrese ieri pomeriggio. Una vicenda, questa, che è stata raccontata e confermata al Fatto Quotidiano da tre fonti che hanno chiesto di rimanere anonime. E se l’incontro al Quirinale è stato così lungo – più di due ore – il motivo è stato proprio che la scelta di Gratteri, per il capo dello Stato, era inaccettabile. Un veto che fa riflettere anche sull’excusatio non petita di Napolitano, che ha azzardato il ricorso all’ironia per provare a negare il suo ruolo nella bocciatura di Gratteri: “Vorrei rassicurare i cultori di ricostruzioni giornalistiche a tinte forti, che il mio braccio non è stato sottoposto, né l’altro ieri né oggi, ad alcuna prova di ferro. Lo trovate, spero, in buone condizioni”.
Un tentativo, quello di smorzare il suo intervento, che forse tendeva a scaricare la responsabilità della marcia indietro su qualcun altro. Per esempio Angelino Alfano, che aveva già espresso la sua contrarietà alla nomina di Gratteri (non voglio un Guardasigilli “giustizialista”, aveva detto). Ma il peso del neo ministro degli Interni non era bastato a far cambiare idea a Renzi: e infatti, durante la telefonata di ieri, gli uomini del premier avevano rassicurato il pm sul fatto che l’accordo era stato trovato. C’è anche chi ipotizza che sia stato Silvio Berlusconi a opporsi. Versione smentita da diversi berlusconiani che raccontano un aneddoto emblematico: nei giorni scorsi, il Cavaliere ha freneticamente telefonato ai suoi amici calabresi per informarsi su “questo signore, che conosco troppo poco”. La sua unica paura era che il pm potesse appartenere a Magistratura Democratica. Ma Gratteri non fa parte di nessuna corrente e non ha mai espresso apprezzamenti su alcun partito. Tanto è bastato per ottenere il via libera di B.
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Renzi, il foglio col nome di Gratteri
Sul profilo Twitter di “Secondo piano news” compare la foto del biglietto scritto a mano con cui Renzi si è presentato al Quirinale per presentare la lista dei ministri. Ingrandendo i caratteri si legge distintamente “magistrato in servizio”, frase che si riferisce a Nicola Gratteri, chiamato a occupare la casella della Giustizia e poi bloccato da Napolitano che ha preferito il “politico” Andrea Orlando
Insomma, è stato proprio il presidente della Repubblica – come ha raccontato una delle persone presenti all’incontro – a escludere categoricamente la nomina di Gratteri, dicendo che non può consentire a un magistrato di diventare Guardasigilli. Tanto più se è ancora in servizio. Una motivazione che non ha convinto né Renzi né il suo braccio destro, Graziano Delrio. I due, prima di piegarsi, si sono battuti per cercare di far passare Gratteri, che era il loro cavallo di battaglia (e uno dei nomi più celebrati sui social network). A poco è servito ricordare che un pm alla Giustizia c’era già stato di recente (Nitto Palma). O che Gratteri non si è mai candidato, e di conseguenza la questione dell’indipendenza proprio non si poneva. Il suo ruolo, era chiaro da subito, sarebbe stato esclusivamente tecnico. Anche perchè le sue ricette per rimettere in piedi la macchina della giustizia erano già note. Proposte già pronte come “l’emergenza” per eccellenza: il sovraffollamento delle carceri.
Gratteri l’avrebbe risolta così: “Serve la realizzazione in tempi brevi di nuove strutture penitenziarie”. Inoltre, spiegava, “bisognerebbe riorganizzare gli spazi secondo il modello americano: chiusi nelle celle dovrebbero restare solo i detenuti di alta sicurezza (41bis e individui socialmente pericolosi), mentre gli altri potrebbero usufruire degli spazi esterni, e lavorare per il reinserimento sociale”. Poi le misure alternative: “Soprattutto per tossicodipendenti e baby-criminali”. Ma la mossa fondamentale, sosteneva il procuratore aggiunto, era quella di fare accordi bilaterali per far scontare ai detenuti la pena nei loro paesi d’origine.
Gratteri ha parlato anche della riforma del codice di procedura penale. Tra le tantissime idee, sottoposte già all’ex premier Enrico Letta, c’era quella di garantire l’informatizzazione di tutta la cancelleria. E poi un appello alla razionalità: se il giudice viene sostituito durante il processo, oggi è necessario – a parte rare eccezioni – rinnovare l’istruttoria dibattimentale, riascoltando nel contraddittorio tutti i soggetti che si erano già espressi. E questa, sosteneva Gratteri, “è una delle principali cause che permette la dilatazione della durata dei processi”, e lo sperpero di denaro pubblico e di forza lavoro. La proposta era semplice: utilizzare le dichiarazioni già rese.
Poi, ancora, bisognava rendere obbligatorio l’uso della posta elettronica certificata per effettuare le notifiche, così da risparmiare tempo e denaro. Altra proposta: l’inasprimento del 41-bis, imponendo ai detenuti di restare totalmente isolati. Non mancava anche una visione sulle doti indispensabili per diventare onorevole (“per lo meno, la fedina penale intonsa. Ci vuole uno sbarramento netto, chiaro, feroce”). “La politica avrebbe senso farla solo se si avesse il potere di cambiare davvero le regole del gioco, nel rispetto della Costituzione”, aveva detto qualche mese fa. Ma Gratteri non aveva fatto i conti col fatto che l’arbitro supremo l’Italia ce l’ha già: Giorgio Napolitano.
Twitter: @borromeobea
Da Il Fatto Quotidiano del 22 febbraio 2014